Paolo Griseri, la Repubblica 20/2/2013, 20 febbraio 2013
NELL’EREMO PREZIOSO DI CASTEL GANDOLFO QUI BENEDETTO SARÀ “NASCOSTO AL MONDO”
Quel giorno la musica era scivolata tra gli ulivi nel giardino che guarda il lago, sulla collina che era stata la sede dell’antica Alba Longa della leggenda di Enea e della Villa di Domiziano pochi anni dopo il martirio di Pietro a Roma. «A sorpresa, pochi mesi dopo la sua elezione, era stato regalato un pianoforte a Benedetto XVI perché potesse utilizzarlo nella sua residenza estiva», ricorda Joaquin Navarro Valls che visse con il Papa tedesco i primi mesi del pontificato. Negli anni precedenti, da cardinale, Ratzinger aveva frequentato quel palazzo poche ore al giorno, per lavorare insieme a Giovanni Paolo II nei mesi estivi: «Aveva avuto tempo di apprezzare il giardino solo da Papa». E da Papa aveva gradito i luoghi: «A Castel Gandolfo c’è gente buona. Arriva l’aria fresca dei boschi e da lontano si vede anche il mare». L’elogio papale campeggia sulla lapide che abbellisce la facciata del Municipio, proprio di fronte all’ingresso del palazzo pontificio.
Che cosa rimarrà tra una settimana della serenità di un tempo, delle passeggiate nel giardino, delle uscite a sorpresa sulla piazza del paese? Il 28
febbraio tramonterà anche sulla tranquillità scoperta da Benedetto XVI nei suoi otto anni di villeggiatura nell’antico castello dei Gandolfi-Savelli? «Una delle cose belle di Castel Gandolfo — confessa Navarro — è l’incredibile possibilità di isolarsi completamente dal mondo». Ecco ciò di cui il Papa dimissionario ha bisogno. Saranno due mesi di isolamento, di “deserto evangelico” come dicono i biblisti. Il mondo del vescovo emerito di Roma sarà rinchiuso nelle sei stanze al secondo piano dell’appartamento privato. Un eremo.
Non come quello dove era precipitosamente tornato Pietro di Morrone dopo lo scandalo dell’abdicazione da Papa nel 1294. L’eremo di Ratzinger è una residenza patrizia seicentesca voluta da Urbano VIII Barberini, abbellita da Alessandro VII Chigi, ristrutturata all’inizio del Nocevento, quando i Patti Lateranensi restituirono la villa al Vaticano. L’anticamera e lo studio hanno alle
pareti i dipinti del fiorentino Carlo Dolci e di Paolo Veronese. Cristoforo Unterberger ha decorato la Sala da Pranzo di Clemente XIV, papa romagnolo dell’inizio del Settecento.
Nella cappella privata c’è una copia della Madonna nera di Czestochowa. Non risale, come si potrebbe pensare, al papato
di Wojtyla, ma a quello d’inizio Novecento di Achille Ratti che prima di diventare Pio XI era stato nunzio apostolico in Polonia. Così, per coincidenza e per destino, nel luogo dei suoi quotidiani colloqui con Dio Joseph Ratzinger avrà inevitabilmente di fronte l’immagine del suo predecessore, l’amico che
per decenni aveva incontrato in queste stanze quando il tedesco era Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede e il polacco guidava con vigore Santa Romana Chiesa.
Il resto dell’eremo prezioso di Castel Gandolfo è una stanza da letto di dimensioni modeste, con la finestra che affaccia sul giardino e un semplice tavolo da lavoro. A fianco, una sala da bagno con affreschi medievali che risalgono al primitivo castello dei Gandolfi-Savelli e due stanze originariamente riservate alla servitù, quella dello Scalco e, a lato, l’antica camera dello Scopatore segreto, un tempo addetto alle pulizie dell’appartamento papale.
In questi locali, il teologo bavarese di Marktl imparerà la difficile arte di rimanere «nascosto al mondo» nell’ultima parte della sua vita terrena, nel singolare rovesciamento dell’esperienza di Cristo. Non sarà un apprendistato facile per Benedetto XVI. Ma sarà la fine di un inedito calvario del distacco: l’ultimo Angelus, domenica a mezzogiorno; l’ultima udienza pubblica, mercoledì in piazza San Pietro; l’ultimo incontro con i cardinali, giovedì mattina nella Sala Clementina del vaticano.
Poi, l’arrivo in elicottero nel piccolo borgo sul lago: «Ci riuniremo in preghiera già alle sedici », promette, Pietro Diletti, parroco di Castel Gandolfo. Il paese si radunerà per l’ultimo saluto pubblico, un affaccio dalla finestra del cortile papale prima di quel singolare «extra omnes» che sarà la chiusura del Palazzo pontificio e l’inizio della vita nascosta del 265esimo successore di Pietro.
«Ritengo che trascorrerà le giornate nella preghiera e nello studio. Nella biblioteca rimangono i libri che ha portato in questi anni», spiega Navarro. Sarà impossibile vederlo uscire dal Palazzo come era accaduto anni fa, quando aveva sorpreso tutti comparendo sulla piazza del paese con una piccola auto elettrica. Il suo impegno ormai sarà quello di non essere più nel mondo, fuori dai clamori, dentro una sorta di clausura virtuale imposta dalla particolarissima condizione di un Papa che vive ai tempi del suo successore.
Dalla prossima settimana e per i due mesi necessari a ristrutturare la sua nuova residenza in Vaticano, Joseph Ratzinger cercherà di recuperare quella serenità d’animo che trovava su questa collina Benedetto XIV Lambertini, suo predecessore quasi omonimo alla guida della chiesa a metà del Settecento. «Quando arrivo a Castel Gandolfo — raccontava agli amici quell’altro Benedetto — posso finalmente tirar fuori la mia anima dal torchio».