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 2013  febbraio 21 Giovedì calendario

SINDROME CINESE

Un gigante dai piedi d’argilla? Doveva essere, secondo analisti e politologi, il secolo asiatico, l’era nel quale Pechi­no avrebbe vampirizzato il mondo e recupe­rato il suo ruolo “imperiale”. Il Dragone sem­bra invece affacciarsi sul nuovo millennio vul­nerato da una serie di squilibri – sociali, eco­nomici, ambientali – che rischiano di azzop­parne l’ascesa. Diseguaglianze che minaccia­no di alterare il profilo e minarne la tenuta (e le ambizioni). A cominciare da quel vulnus che è la politica del figlio unico, il più ambi­zioso esperimento di ingegneria sociale mai messo in atto nella storia cinese e che, a par­tire dal 1979, ha “inchiodato” la crescita de­mografica del gigante asiatico. Gli effetti? Di­sastrosi.
Se la misura ha contenuto l’esplosione della popolazione, ha al tempo stesso introdotto u­na serie di storture. Secondo i dati forniti dal ChinaDaily , i cinesi over 60 hanno raggiun­to quota 185 milioni alla fine del 2011, il 13,7% dell’intera popolazione. Nel 2010 era­no 177,6 milioni. Di questi, secondo il Beijing Review, 33 milioni sono, parzialmente o com­pletamente, non autosufficienti. Entro la fi­ne del 2015, l’esercito degli anziani crescerà di 43 milioni, raggiungendo quota 221 mi­lioni. Gli over 80 saranno 24 milioni. Allo stes­so tempo “spariscono” i giovani. E di conse­guenza “langue” la forza lavoro, un buco che potrebbe azzoppare la crescita dell’economia. Secondo stime dell’Onu, il numero di giova­ni tra i 15 e i 24 anni diminuirà del 27% a 164 milioni entro il 2025. Nel 2010, per ogni cin­que persone in età lavorativa, c’era una per­sona anziana. Al punto che le autorità hanno obbligato per legge i figli a visitare i genitori an­ziani.
Secondo stime riportate dal Time, il rapporto scenderà a tre persone in età lavorativa per o­gni anziano entro il 2020. Non solo: secondo uno studio pubblicato dalla rivista Scienze e intitolato significativamente «I piccoli impe­ratori », la generazione dei figli unici, quella che dovrà affrontare le sfide del secolo, è sem­pre più fragile: più pessimista, meno fi­duciosa, meno portata appunto alle sfi­de. Quale sarà l’effetto sui conti del Dra­gone? I risultati del boom economico sono stati innegabili, travolgenti. Il Pil cinese è triplicato nel giro di soli 10 an­ni, viaggiando su una crescita media an­nua del 10%. Circa 500 milioni di perso­ne sono uscite dal “pozzo” della povertà. Il Dragone oggi è la seconda economia al mondo, superata solo dagli Stai Uniti. I pri­mati ci sono e sono tanti. Due delle prime dieci banche al mondo sono cinesi, Pechi­no vanta il secondo network di autostrade più esteso al mondo.
Ma un rapporto della Banca mondiale – «Chi­na 2030» – mette il dito nella piaga: la cresci­ta economica è ancora compatibile con l’ero­sione se non con la distruzione dell’ambien­te (fisico, sociale e generazionale) cinese? In­somma i pilastri sui quali regge il miracolo po­trebbero sfarinarsi. L’altra faccia dello svilup­po? Secondo i dati del Fondo monetario in­ternazionale, 150 milioni di persone vivono al di sotto della soglia di povertà, la Cina occu­pa solo il centesimo posto al mondo in ter­mini di Pil pro-capite. Un equilibrio che ri­schia di spezzarsi, come testimonia la con­flittualità sociale sempre più diffusa. Secondo i dati riportati dal Chennai center gli inciden­ti di massa in Cina sono stati 180mila nel 2010. Nel 2008 erano stati 127mila, nel 2005 circa 87mila.
La situazione preoccupa, e non poco, il parti­to. Che nel 2012 ha speso alla voce “sicurezza interna” oltre 700 miliardi di yuan (nel 2011 la cifra era apri a 629). La conflittualità poi sta di­ventando endemica anche nelle fabbriche, il luogo simbolo dell’ascesa cinese, grazie al quale si è costruito l’inarrestabile successo del «made in China». Il caso Foxconn, divenuta triste­mente nota come la fabbrica dei suicidi, è solo la punta del­l’iceberg. Come ricorda Agi-China 24 , scioperi e proteste si sono susse­guiti senza tregua. Qualche esempio? A fine novembre nel sud della Cina oltre mille ope­rai di un subappaltatore di Apple e Ibm han­no incrociato le braccia per protestare contro gli straordinari forzati, gli incidenti sul lavoro e i licenziamenti. Pochi giorni prima era sta­to il turno di un’enorme fabbrica di scarpe che rifornisce Adidas e Nike, dove a scioperare e­rano stati in 7mila. Nello stesso periodo, in tutto il Guangdong – la fucina manifatturiera nella Cina meridio­nale – si sono registrati numerose altre agita­zioni negli stabilimenti di Shenzhen, Don­g­l’intervista guan e Foshan. Secondo i dati forniti dal Chi­na labour bullettin , in Cina si registrano al­meno 30mila “agitazioni” all’anno. Infine il ro­vello che assilla la vita quotidiana dei cinesi: l’inquinamento. Pechino si ritrova “murata” in una coltre spessa di smog.
Le autorità hanno dovuto ammesso che la pre­senza di polveri fini note come Pm 2,5 – le par­ticelle inquinati sufficientemente piccole da penetrare nei polmoni – hanno raggiunto i 993 microgrammi per metrocubo, quasi 40 volte in più dei limiti di sicurezza stabiliti dal­l’Organizzazione mondiale della Sanità. Dal sette al 14 gennaio, 535 persone si sono pre­sentate ai pronto soccorso della città denun­ciando problemi respiratori, il 54 per cento più dello stesso periodo dello scorso anno mentre il numero di casi di tumore ai polmo­ni è cresciuto del 56 per cento dal 2001.