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 2013  febbraio 21 Giovedì calendario

LA MORTE DI NERUDA, NUOVI SOSPETTI —

Cosa sarebbe stato della dittatura cilena con Pablo Neruda vivo? Avrebbe retto alle sue denunce? O peggio, allo scandalo di tenere in cella una celebrità globale? Bastò il suo funerale, due giorni dopo la compilazione del certificato di morte, a far tremare la neonata giunta militare. La gente scese in piazza in massa, sfidando la paura. Con Neruda vivo, forse, la storia del Cile sarebbe stata diversa. Invece il grande poeta morì. Per il generale Pinochet una vera fortuna, tanto che da subito (come per il suicidio del presidente Salvador Allende) la scomparsa parve una casualità troppo favorevole per il regime.
Il «certificado de defuncion» del cittadino cileno Pablo Neruda (foto), poeta, senatore comunista, ex ambasciatore e amico personale di Allende, parla di «cancro alla prostata e metastasi». La data è quella del 23 settembre 1973. Neruda aveva 69 anni, dodici giorni prima il generale Augusto Pinochet aveva guidato vittorioso il colpo di Stato e Allende era morto nel palazzo de La Moneda.
Nelle prossime settimane, il giudice cileno Mario Carroza, ordinerà l’esumazione dei resti di Pablo Neruda per cercare di fare finalmente chiarezza su ciò che accadde. L’ha annunciato Fernando Saenz, direttore della Fondazione Neruda.
Sono molti gli scrittori o giornalisti che hanno indagato sul mistero di quella morte, ma il giudice si è basato soprattutto sulla testimonianza di Manuel Araya, ultimo autista di Neruda. Due anni di indagine per arrivare a dire che le accuse e i sospetti di Araya sono sensati.
Il giudice Carroza è lo stesso che aveva ordinato l’esumazione di Allende avvalorando, per quanto possibile, la tesi del suicidio. Difficile dopo quarant’anni individuare chi abbia premuto il grilletto. Nel caso di Neruda, invece, l’esame dei resti potrebbe essere più utile e convincente, soprattutto se dovessero trovarsi tracce di quell’overdose di calmante che l’amico ed autista Araya è convinto sia stata la causa della morte.
Andrea Nicastro