Fulco Pratesi, Corriere della Sera 21/02/2013, 21 febbraio 2013
QUATTORDICI ANNI DI LAVORO SPRECATO
Nel 1990 gli orsi bruni delle Alpi erano rimasti solo in 2 (due). Dopo secoli di persecuzioni, bracconaggio, riduzione dell’habitat, guerre, incidenti, questo magnifico rappresentante della fauna alpina, che figura addirittura nello stemma di papa Benedetto XVI e negli emblemi di tante città, compresa Berna, era ormai a un passo dall’estinzione. Scomparsi da tutta la catena, gli ultimi orsi sopravvivevano solo in Trentino. Già prima che nel 1999, 14 anni fa, l’operazione Life Ursus, finanziata dall’Unione Europea, col Parco Adamello Brenta, la Provincia di Trento e altri collaboratori tra cui il Wwf, portasse alla liberazione dei primi due esemplari provenienti dalla Slovenia, si era tentato, con scarso successo, il ripopolamento del plantigrado. Nel 1960, due giovani orsi dei Carpazi, provenienti dallo Zoo di Praga, furono rilasciati in Val di Lares ma, dato che erano troppo confidenti, furono ricatturati e chiusi in un recinto presso Trento; nel 1969 altri due cuccioli vennero liberati in Val di Genova, e poi ripresi; nel 1974, ultimo tentativo della Provincia di Trento, anch’esso abortito. Il progetto, che ha portato finalmente a un nucleo di circa 40 esemplari, ha richiesto anni per condizionare i capi rilasciati, per ottenere, con apposite campagne di informazione, una riabilitazione dell’immagine di questa specie, mite e mai aggressiva, e per prevenire danni al bestiame, ai frutteti o agli alveari. Ma questa difficile impresa è stata compromessa, negli ultimi anni, dall’uccisione di ben tre esemplari, uno in Baviera e due in Svizzera, un Paese dove sono nate la Convenzione di Berna e il Wwf. Adesso, dato il crescente disinteresse politico alla protezione di questo tesoro zoologico, occorre che a tutti i livelli ci si muova per evitare altre dolorose e inammissibili perdite, anche in Italia.
Fulco Pratesi