Beppe Severgnini, Corriere della Sera 21/02/2013, 21 febbraio 2013
CON LE BATTUTE NON SI GOVERNA
Comunque vada e chiunque vinca, saranno ricordate come le elezioni di Beppe Grillo. Citarne gli alleati non significa sminuirne l’abilità. Perché non c’è dubbio: la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle è stata condotta, con metodo e determinazione, dagli avversari. Ogni volta che un’amministrazione affogava nei debiti e negli scandali, ogni volta che una banca si copriva di vergogna, ogni volta che un partito sperperava denaro pubblico, cosa facevano gli elettori? Registravano mentalmente la casa politica dei responsabili. E concludevano: basta, di questa gente non se ne può più. Tutti i leader dei movimenti di protesta sognano d’essere scelti e votati per il programma: ma non è così. O è vero solo in parte. Il sostegno al Movimento 5 Stelle somiglia a quello che ha portato in alto la Lega, vent’anni fa. Molti elettori di Umberto Bossi erano disposti a sorvolare sulle sue fanfaronate; e sapevano poco di federalismo. Capivano però che la Lega era nuova, ed era invisa al potere politico del tempo. Qualcosa del genere è accaduto di nuovo nel 1994: un voto a Forza Italia, a qualcuno, è sembrato un voto contro il sistema dei partiti che aveva prodotto Tangentopoli.
Questo è un merito di Beppe Grillo: aver sottratto voti all’astensione. Il Movimento 5 Stelle — piaccia o non piaccia — sta fornendo un canale di sfogo alla rabbia e alla frustrazione. I partiti tradizionali non sono stati capaci di indicarne un altro. Non solo. Se abbiamo evitato sassi e bastoni in campagna elettorale è anche grazie a Grillo. A questo siamo ridotti: a dover lodare il confuso populismo.
Perché di questo si tratta. Il guru — che non è candidato — rifiuta le interviste perché non sarebbe facile, da solo e senza suggeritori, difendere certe affermazioni, o spiegare il proprio generico programma. «Uscire dall’euro». E come, di grazia? «Introdurre un sussidio di disoccupazione garantito». Con che soldi? «Investimenti nella ricerca universitaria». Bene, ma non è il caso di essere precisi? Un conto è adattare un copione, di piazza in piazza; un altro offrire piani realistici e rispondere a ragionevoli obiezioni. Ci sono poi gli eletti del Movimento 5 Stelle, che saranno numerosi, e con cui dovremo fare i conti. È vero, far peggio di alcuni parlamentari uscenti appare impossibile. Ma il dubbio rimane. Le «Parlamentarie», con cui sono stati scelti, hanno coinvolto 32 mila persone: un numero irrisorio. Prendiamo l’Umbria, dove sono passato nel mio viaggio politico e ferroviario da Trieste a Trapani. Tiziana Ciprini, con 84 preferenze è stata la più votata tra gli 81 candidati, ed è capolista alla Camera. Ha 37 anni, una laurea in Psicologia ed è dipendente della Regione. Tra le sue proposte, al primo posto: «Rivoluzione culturale: abbandono del sistema della delega e del menefreghismo civico e promozione di sistemi, metodi e stili di vita basati sulla partecipazione». Mah.
C’è un aspetto scenografico e narcisistico, nella dirigenza politica italiana: c’è sempre stato. L’opinione pubblica non solo lo accetta, ma lo invoca, rinunciando alle precauzioni elementari in una democrazia. Pretendiamo invece dettagli, assicurazioni, spiegazioni. Chi non risponde in campagna elettorale — ai potenziali elettori, ai giornalisti, alle critiche — non risponderà mai più. Vladimir Ilyich Lenin, nel 1923, poteva emettere il «comunicato politico numero cinquantatré»; non Beppe Grillo nel 2013. I leader carismatici devono essere controllati, per il nostro e per il loro bene. Se rinunciamo a farlo, aspettiamoci amare sorprese.
Beppe Severgnini