Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 20/02/2013, 20 febbraio 2013
LUNGA VITA ALLE PROVINCE
Sono due settimane che l’Ansa non fa un titolo di politica sulla spending review. Nel solo 2012 erano stati 1.887, più di cinque al giorno, Natale e Ferragosto compresi. Non esiste pensosa analisi politologica che possa illustrare meglio come i leader impegnati nella campagna elettorale si siano sbarazzati della fastidiosa zavorra di quelle parole che per un anno avevano inchiodato alle sue responsabilità un Paese che troppo a lungo ha vissuto al di sopra dei propri mezzi.
Sarebbe divertente, ora, notare come la svolta coincida col ritorno del Carosello, dove trionfava un panzone dal tonnellaggio smisurato che dopo gli incubi notturni si svegliava strillando felice alla cuoca che parlava veneto («Cossa ghe xè paròn?») ma era nera come la pece: «Matilde, la pancia non c’è più! La pancia non c’è più!».
Il guaio è che i nostri problemi strutturali, come si incaricano quotidianamente di ricordare gli uffici studi con l’irritante asetticità dei numeri, ci sono ancora. E si ripresenteranno intatti, se non aggravati da un quadro di ingovernabilità, la sera del 25 febbraio. Non sono un incubo da cui ci si può risvegliare urlando «la crisi non c’è più!».
Eppure tutto pare finito in secondo piano. I sacrifici? Già fatti. I tagli? Già sufficienti. Il risanamento? Già avviato. Come se ancora una volta troppi politici ritenessero indispensabile diffondere tra gli elettori messaggi segnati dal «trionfo della facilità, della fiducia, dell’ottimismo, dell’entusiasmo», per dirla con Piero Gobetti, perché «a un popolo di dannunziani non si può chiedere spirito di sacrificio». Comunque, non a lungo.
Dice tutto, per fare un solo esempio, la questione delle Province che nelle settimane da «ultimi giorni di Pompei» dell’agosto 2011 sembrò essere così pressante da obbligare perfino la Lega Nord, cocciutamente contraria, ad accettare una robusta amputazione e a titolare anzi su La Padania «Costi della politica, tagli epocali». Dov’è finita la soppressione o almeno la drastica riduzione delle Province? Certo, una riga qua e là nei programmi è sopravvissuta. E con Grillo e l’Idv anche Berlusconi, pur sapendo che Maroni vuole abolire solo i prefetti, torna a promettere l’abolizione. Ma se Vendola parla di «superamento delle Province» e Monti di un compito da rilanciare, il Pd nel suo «L’Italia giusta» non dedica al tema (il presidente siciliano Rosario Crocetta del resto l’ha detto: «Non cancellerò le piccole Province») una sola parola. E così Casini, Ingroia o Fini il quale invita piuttosto a «rivedere le spese regionali…».
La cartina di tornasole, del resto, è quanto è accaduto in Sardegna. Lì i cittadini avevano detto nettamente, al referendum del maggio scorso, cosa pensano. Quorum superato, 97% di «sì» all’abolizione immediata delle quattro nuove Province inventate nel 2002 con un solo voto contrario, 66% di «sì» alla domanda (solo consultiva, stavolta) sulla soppressione delle quattro vecchie. Da allora, però, tutto è bloccato. Dovevano essere cancellate il 28 febbraio. Ma è probabile (scommettiamo?) una proroga al 2015. Nel frattempo, la Corte dei Conti ha spazzato via le chiacchiere di chi aveva promesso che il raddoppio delle Province non sarebbe «costato un centesimo»: i dipendenti sono cresciuti del 29%, la spesa del 42%. Ma che importa, in campagna elettorale?
Gian Antonio Stella