Mario Giordano, Libero 19/2/2013, 19 febbraio 2013
MISTER MIGLIOR PERDENTE
[Gli elettori di Fini? Stanno tutti dentro una stanza] –
Cinquanta persone in tutto, bambini compresi. Per il comizio di Fini ad Agrigento non c’era bisogno di affittare un cinema: bastava un autobus. O la sala d’aspetto di un dentista. Farsi cavare un molare, d’altra parte, farebbe assai meno male di questa campagna elettorale al presidente della Camera, l’uomo che una volta arringava le folle e adesso al massimo riesce ad arringare una distratta scolaresca siciliana, buttata in platea, probabilmente, all’ultimo minuto da qualche organizzatore disperato. Li avete visti quei ragazzini? Stanno lì in prima fila, utilizzati come scudi umani per cercare inutilmente di coprire il vuoto della sala, assorti fra uno sbadiglio e l’altro nei loro semplici pensieri.
È evidente che si stanno chiedendo:«Alla fine di ‘sto supplizio me la pagheranno almeno la merenda?». Ed è altrettanto evidente che quello è il pensiero politico più elevato che circola in sala.
Del discorso siciliano del leader del Fli, invece, non resta traccia, come ormai accade da giorni. Nemmeno un’agenzia, una riga sul giornale. E nemmeno un pubblico decoroso. Povero Gianfry: parla e nessuno ascolta, dice e nessuno se lo fila. Più che un leader politico sembra un bicchiere d’acqua fresca, in questa campagna elettorale gli si addice perfettamente quel vecchio sfottò di Forte braccio: «Si aprì la portiera dell’auto e non scese nessuno. Era Fini». Do you remember Mr Arrogance? Dopo essere riuscito nell’impresa di far scomparire tre partiti (Msi, An e Fli), ora l’altezzoso «cognato» di Tulliani ha completato l’opera. È scomparso pure lui. Per trovarne traccia nel dibattito politico bisogna avere come minimo la laurea in archeologia e scavare fra le macerie del partito. Di Futuro, evidentemente, ne è rimasto ben poco ai seguaci finiani. Di Libertà invece tanta, considerato il fatto che dopo le elezioni saranno quasi tutti liberissimi di andare dove vogliono, da Giannutri alle Seychelles, magari anche ai giardinetti pubblici. Dappertutto, insomma, fuorché in Parlamento da dove saranno abbondantemente esclusi.
Fra l’altro rischia l’esclusione persino lui, l’uomo che doveva dominare il centrodestra, il leader che voleva scalzare Berlusconi, la terza carica dello Stato che strizzava l’occhio alla sinistra nella speranza di salire sul Colle: il centrino annaspa, l’alleanza con Monti e Casini non funziona, la linea dei consensi scende così in basso che, se tutto va bene, Gianfranco la incontrerà durante la prossima immersione. In fondo al mare. Due cernie e un polpo sono il massimo dei suoi sostenitori, oltre ai ragazzini condannati al comizio forzato, ovviamente. Nella migliore delle ipotesi dunque Fini, che difficilmente supererà la soglia di sbarramento del 2 per cento prevista alla Camera, sarà ripescato come «miglior perdente». Non è una definizione perfetta per lui?
Il «miglior perdente», ecco, alla fine ci siamo arrivati. Fini in fondo non è mai stato altro che questo: il miglior perdente possibile. Ha perso per strada una cultura, una storia, una generazione, tante amicizie, tre partiti (come si è detto). Ha perso tutto quello che poteva perdere, insomma. E che cosa ha trovato? Una casa a Montecarlo e una seggiola a Montecitorio. Ma era dai tempi della Pivetti che un presidente della Camera non maltrattava così la sua funzione istituzionale: il «miglior perdente» è diventato dunque una specie di Pivetto con la grisaglia d’ordinanza, costretto ad aggrapparsi alla speranza che il suo alleato Casini, almeno lui, superi la soglia del 2 per cento. Altrimenti sarebbero guai. Altrimenti Fini sarebbe escluso dal Parlamento. E concluderebbe, così, la sua carriera di «miglior perdente» perdendo (da miglior perdente) anche la qualifica di miglior perdente.
Lo scioglilingua della sconfitta, in pratica: non è fantastico? Se non fosse per la sua tradizionale prosopopea, Mr Arrogance ora farebbe quasi tenerezza, con la faccia scura su cravatta rossa, lì nella sala del cinema Astor di Agrigento, vuota come per un film di Lando Buzzanca in terzo passaggio. Fra l’altro tutta l’avventura siciliana del presidente della Camera è andata piuttosto male: nella tappa precedente, a Palermo, si era presentato in via d’Amelio per cercare di sfruttare al massimo il nome di Borsellino. Ma anche lì aveva incontrato poca gente, e per di più quella poca l’aveva pure contestato. Poveretto: Grillo e Bersani riempiono le piazza. Berlusconi ha grandi platee dal Lingotto alla Fiera di Milano, lui appena 50 persone, ragazzini compresi, raccattati all’ultimo minuto con chissà quale promessa. «Non sa quello che dice, ma lo dice benissimo», dicevano di Gianfranco i vecchi del Msi. Adesso però gli manca pure la platea con cui parlare. E dunque, che dice a fare? C’era un volta Fini, adesso ha messo l’accento sull’ultima lettera: Finì, e finì pure piuttosto male. Svaporato il partito, inesistente il progetto, smarrito il seguito, non gli resta che lasciarsi andare verso la fine della campagna elettorale, senza più nessuna illusione, senza più nessuna speranza. Gli altri partiti, domenica, aspetteranno l’esito del voto. Lui soltanto l’esito del vuoto.