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 2013  febbraio 19 Martedì calendario

La Luna ha dell’acqua «nativa», nascosta nelle sue rocce. Lo hanno scoperto quattro scienziati analizzando con nuovi strumenti i campioni portati dagli astronauti sulla Terra misurandone le quantità

La Luna ha dell’acqua «nativa», nascosta nelle sue rocce. Lo hanno scoperto quattro scienziati analizzando con nuovi strumenti i campioni portati dagli astronauti sulla Terra misurandone le quantità. Nel dicembre 1972, quarant’anni fa, Eugene Cernan al comando della spedizione Apollo XVII era l’ultimo dei 12 uomini a passeggiare sulle sabbie seleniche. Per sei volte si è sbarcati in zone diverse dell’Equatore portando a casa 382 chilogrammi di pietre, sassi e polveri. La Nasa costruì nel suo centro dei voli umani di Houston (Texas) il Lunar Receiving Laboratory nel quale custodisce i preziosi reperti in un’atmosfera neutra di azoto permettendo agli scienziati di studiarli anche in futuro, quando strumenti più sofisticati consentiranno di scoprirne meglio la natura. Ed è quello che è accaduto ora, dopo quattro decenni, facendo ricorso ad un nuovo tipo di microscopio abbinato ad uno spettroscopio. I risultati pubblicati sulla rivista britannica Nature Geoscience trovando acqua nativa portano a riscrivere i passi della storia del nostro satellite naturale. Secondo la teoria più accreditata la Luna sarebbe nata dallo scontro con la Terra di un corpo celeste della taglia di Marte. Questo avrebbe sollevato nello spazio una grande quantità di materiale poi coagulato sino a formare la «pallida selene» delle nostre notti. Ma si è trattato di un processo molto caldo che difficilmente — si diceva — avrebbe potuto consentire la sopravvivenza dell’acqua anche nelle rocce. E così sembrava dalle prime osservazioni. Ma da cinque anni indagando con metodi diversi i campioni prelevati dagli oceani di lava (in particolare dei grani di plagioclasio) si è scoperto che contengono concentrazioni d’acqua ben più elevate di quanto si era ipotizzato e che, secondo alcuni, potevano essere frutto di inquinamento cosmico. «Le rocce racchiudono sei parti per milione di acqua — dice Hejiu Hui dell’Università di Notre Dame, nell’Indiana, alla guida del gruppo dei ricercatori della Nasa e dell’Università del Michigan —. Certo, sono più aride delle pietre nei deserti terrestri ma la quantità non è trascurabile. Anzi, allargando le analisi possiamo concludere che gli oceani di magma arrivano a 320 parti per milione di acqua, vale a dire l’1,4 per cento in peso». Dal punto di vista scientifico questo significa che l’evoluzione geologica della Luna ha seguito un processo un po’ diverso, più lento e che erano in gioco quantità d’acqua iniziali più rilevanti del previsto. «Quindi varie idee devono essere riconsiderate» nota Hui. Di ghiaccio d’acqua si cominciò a parlare dal 1996 quando la sonda americana Clementine raccoglieva alcuni indizi della sua presenza in alcuni crateri delle zone polari dove il buio e il gelo sono perenni perché i raggi solari non riescono ad arrivare mai. A portarlo sarebbero state le come in epoche remote. Altre sonde (come le ultime Chandryaan e Lro) approfondirono la questione offrendo qualche cifra (5,6 per cento di acqua in peso) e una stima di 600 milioni di tonnellate di ghiaccio ai Poli. «L’acqua — conclude Hui — è la risorsa di base per la costruzione di colonie lunari. Il nuovo risultato ne mostra una maggiore diffusione e amplia le possibilità contribuendo a rendere la prospettiva più credibile». Giovanni Caprara