Giovanni Santambrogio, Il Sole 24 Ore 17/2/2013, 17 febbraio 2013
IDENTITÀ E LAICIZZAZIONE: LA DOPPIA CRISI EUROPEA
Sul futuro papa alcuni teologi hanno appena promosso un documento con le credenziali che dovrebbe avere il nuovo pontefice. Firmatari figure note e antagoniste come l’ex frate brasiliano Leonardo Boff (teologo della liberazione processato da Ratzinger nel 1984) e lo svizzero Hans Kung che si è distinto per le critiche a Giovanni Paolo II e a Benedetto XVI. Il testo, che ha superato le duemila adesioni, fa appello al Concilio e formula alcune indicazioni ad esso ispirate. Hans Kung, chiamato con Ratzinger a partecipare al Vaticano II, ha aggiunto che: «Non importa la provenienza geografica del prossimo pontefice. Conta che non finisca per essere romanizzato e curializzato. Se un Papa tedesco o di colore finisce integrato nel sistema della Curia, la sua origine non serve».
Lo scenario presenta tre grandi aree in cui identificare il candidato e su cui far convergere il voto: il gruppo degli europei, gli extra-europei e i curiali. Nel nuovo conclave, riportato lo scorso novembre a 120 membri in seguito a un mini-concistoro dove è stata imposta la berretta cardinalizia a sei nuovi porporati tra cui Luis Antonio Tagle, 55 anni, arcivescovo di Manila e possibile "papabile" per il continente asiatico, troviamo questa distribuzione: 62 cardinali sono europei (52% degli aventi diritto al voto), di cui 28 sono italiani e rappresentano il 23%; l’America del Nord esprime 14 voti, l’America Latina 21, l’Africa 11, l’Oceania 1. I porporati di curia esprimono nomi come Gianfranco Ravasi, (presidente del Pontificio consiglio della cultura), Jean-Louis Tauran (francese e responsabile del dialogo interreligioso); Marc Ouellet (francocanadese e prefetto dei vescovi), Leonardo Sandri (argentino e prefetto delle Chiese orientali), Peter Kodwo Appiah Turkson (ghanese e ministro degli Affari sociali). Dei 120 grandi elettori elettori 67 sono stati scelti e nominati da Benedetto XVI e hanno un peso pari al 56 per cento.
La geopolitica della fede ha anche un altro volto, quello dei fedeli (1,2 miliardi, si veda l’articolo di Ugo Tramballi «Le divisioni del Papa» del 15 febbraio) che aumentano eccetto che nel Vecchio continente e quello dei sacerdoti che diminuiscono in Europa (-905) mentre crescono in Africa (+ 761) e in Asia (+1.695).
Se la rappresentazione geopolitica ha grande importanza nel definire il peso del voto, una questione delicata e cruciale per il cattolicesimo sono la fede e la sua rilevanza pubblica e culturale. Il cristianesimo ha modellato la civiltà europea e qui ha costruito le solide fondamenta che nei secoli hanno preso le vie dell’evangelizzazione mondiale. È l’Europa oggi messa in discussione e, come sostengono alcuni osservatori, sotto assedio. Negli altri continenti il cristianesimo vive lo scontro per la legittimità e subisce l’intolleranza fisica fino al martirio. Le chiese più giovani si trovano in minoranza e in contrapposizione con altre fedi religiose. Oppure si scontrano con fenomeni specifici come il confronto con le sette in Brasile. L’Europa attraversa una doppia e più pericolosa crisi: una è legata alla stessa identità cristiana che si è indebolita, ha perso le ragioni, le pratiche, la cultura del credere (non è un caso che il Papa abbia eletto il 2013 ad anno delle fede); dall’altro il vecchio continente è un grande laboratorio del processo di laicizzazione che si traduce in lenta scristianizzazione. I temi cruciali e storici sono la laicità dello stato, dello spazio pubblico della fede, dei valori legati alla vita (aborto, procreazione), alla famiglia (coppie gay e adozioni), della cultura (relativismo) che mette in discussione ciò che è sacro per un individuo. «L’occidente – scriveva Ratzinger in un recente saggio – non ama più se stesso; della sua propria storia vede ormai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova – certamente critica e umile – accettazione di se stessa, se vuole sopravvivere».
L’incognita Europa è stata una delle priorità del pontificato di Benedetto XVI, presente in numerosi scritti, discorsi (importanti quelli di Londra e al Parlamento tedesco) e che si è poi concretizzata nella creazione del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione affidato a monsignor Rino Fisichella. C’è, dice il Papa, un continente da rievangelizzare. Curiosa la coincidenza con le celebrazioni dell’anno costantiniano che segnò, invece, l’ingresso e la legittimazione del Cristianesimo nella società romana e l’inizio di una nuova storia.
L’incognita Europa peserà e farà da discriminante nel disegnare il profilo del prossimo Pontefice. La culla della cristianità soffre di una crisi nell’anima, nell’identità e nella forza di trasformare la fede in opere che nella tradizione secolare sono state prodotte dai monasteri, dagli ordini predicatori e dell’assistenza. Un’Europa indebolita e dalla fede irrilevante non aiuta il resto del mondo. La partita cattolica si gioca qui dove anche il pensiero teologico è più sviluppato ma anche smarrito o antagonista.
La rosa dei papabili è ampia. Oltre ai nomi di curia, in cui compaiono gli europei Ravasi e Touran, altri candidati sono Angelo Scola arcivescovo di Milano ed ex patriarca di Venezia, Christoph Schoenborn arcivescovo di Vienna, Timothy Dolan arcivescovo di New York, Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila, Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo e di origini tedesche. Dalle loro biografie arrivano preziose indicazioni.