Giancarlo Perna, il Giornale 18/2/2013, 18 febbraio 2013
QUEL PROF TRONFIO CHE ODIA LE CRITICHE E SNOBBA LA GENTE
L’indigeribile in Mario Monti è che ripeta come un disco rotto che ha salvato l’Italia quando tutti gli indicatori economici sono contro di lui: Pil in picchiata; debito in aumento; povertà crescente; consumi in calo; tasse alle stelle.
Chiunque difronteall’evidenza cercherebbe di spiegare da dove gli vengono le sicurezze e perché faccia affermazioni che stridono con la realtà. Monti, no. Da quando si loda due volte il giorno, non ha avuto l’umiltà di rivelare perché intraveda il sole dove gli altri - compresi fior di suoi colleghi economisti - sentono i brontolii dell’uragano. Tra l’altro, dal 2014, dovremo decurtare ogni anno il tre per cento del debito pubblico per portarlo in vent’anni dal 127 al sessanta per cento (sul Pil). A occhio, un salasso di sessanta miliardi annui. Dove li peschiamo con la recessione in cui la sua reggenza, egregio premier, ci ha sprofondato? Almeno profitti delle sue mille apparizioni elettorali per chiarire perché ciò che a noi appare nero è invece azzurro per lei.
Ma Monti non si abbassa. Si sente così autorevole da non dovere spiegazioni. Gli basta che Frau Merkel lo approvi, che Hollande gli strizzi l’occhio e l’Ue gli dica bravo. Il suo europeismo prescinde dall’Italia. Per questo, insediandosi nel novembre 2011, non disse di volere rilanciare il suo Paese ma «tranquillizzare i mercati». Per lui, le due cose coincidono. Si accontenta dei salamelecchi di quattro eurocrati per dire a se stesso di avere salvato l’Italia, senza accorgersi che la sta svendendo.
A dargli torto, oltre ai numeri, c’è la sua guida malferma.In questi mesi, la decadenza del Paese si è accelerata. La magistratura ha sfidato il potere politico e creato una situazione anarcoide. Bloccando l’Ilva, ha decapitato la siderurgia. In prospettiva, un punto di Pil e cinquantamila occupati in meno. Tutto per affermare la primazia delle toghe sul governo che pure aveva emanato un buon decreto di salvaguardia sia della salute, sia del lavoro. A Monti, però, non è uscito un fiato. L’arresto dell’ad, Giuseppe Orsi, mette in ginocchio Finmeccanica, la sola azienda italiana che regga la concorrenza estera nell’alta tecnologia. Poiché la sua perdita ci relegherebbe al rango di un Paese dell’Est, in un sistema-Stato sano (come in Francia o in Usa) il magistrato avrebbe concordato l’operazione con l’Esecutivo per evitare vuoti. Il governo ha invece subito il colpo senza che Monti abbia alzato il sopracciglio. Come non ha sprecato una parola - se mai se n’è accorto - per la sequela di dispetti della corte milanese che ha condannato l’ex capo dei servizi, Nicolò Pollari, per il sequestro Abu Omar. In primo luogo, i giudici hanno irriso al segreto di Stato posto da Monti sui documenti, leggendoli platealmente in aula. Inoltre, se ne sono infischiati del ricorso del governo alla Consulta per conflitto di poteri e, senza sospendere il processo, si sono autodichiarati competenti ad affibbiare la galera a funzionari che avevano obbedito a ordini. Un carnevale. Zitti! il Professore dorme.
Per riassumere. Dopo quindici mesi di montismo, l’economia è un pianto e le istituzioni sono un colabrodo. Chi sospettava che Monti, per l’appartenenza alle conventicole dei manovratori del mondo (Trilateral, Bilderberg, Aspen) e la vicinanza alla speculazione internazionale ( consigliere di Goldman Sachs e Moody’s), avesse un’idea confusa dell’interesse nazionale, ci ha azzeccato in pieno. Ma chi è questo marziano di Varese che, mostrando la sua autentica natura, definisce il Cav, «il cialtrone che mi ha preceduto?».
Monti è un settantenne gonfio di sé che ha coltivato, più dell’Economia, l’arte di tenere a distanza e farsi considerare un intoccabile. Un suo allievo in Bocconi, Alberto Bisin, oggi full professor alla New York University, ha fatto questo racconto di quello che fu il suo relatore di tesi: «Lo chiamavamo il boss perché i suoi comportamenti non davano adito a dubbi su chi stesse sopra e chi sotto nella gerarchia. Era sempre molto formale. Non ho mai sentito nessuno dargli del tu. Il giorno dopo la laurea il “buongiorno Bisin” è immediatamente diventato “buongiorno dottor Bisin”. Naturalmente, pretendeva altrettanto per sé. Giacca e cravatta erano un must. Un giorno, dopo averci parlato me la sono tolta e l’ho incontrato in corridoio. Mi disse: “Ma lei Bisin non aveva una cravatta?” e non scherzava affatto. Ci si rivolgeva a lui come “professore” se a parole e come “chiarissimo professore” se per scritto». Il sussiego non era giustificato da meriti scientifici. La sua attività di ricerca - per giudizio unanime- non è degna di nota. Di lui si ricorda, agli esordi, un lavoro sulle banche in regime di monopolio che produsse il cosiddetto «modello Klein-Monti». Il resto fu una rapida carriera per cooptazione. Il Mentore che lo portò alla laurea fu il keynesiano Ferdinando De Finizio. Il Virgilio che lo mise in cattedra a 29 anni, fu Innocenzo Gasparini. Il suo faro è stato Onorato Castellino, il docente torinese protettore anche di Elsa Fornero, che fu preside di Economia e presidente della Fondazione San Paolo, e gli dette il gusto delle alte cariche. A 45 anni, il Nostro divenne contemporaneamente Rettore di Bocconi, consigliere di amministrazione Fiat (si era legato all’Avvocato girandogli attorno a Sankt Moritz) e della Banca Commerciale. Da allora, è immerso nel potere vero: quello tecnocratico. Morto Giovanni Spadolini nel 1994, ne occupò il posto alla presidenza Bocconi, tenuta fino alla nomina a premier. Otto anni come commissario Ue (1995-2003) gli diedero fulgore mondiale.
La storia di Monti inizia in Argentina. Il nonno, Abramo, vi emigrò, prosperando con una fabbrica di birra. Lì nacque il padre, Giovanni, che però a sei anni seguì la famiglia in Italia, stabilendosi a Milano. Si laureò in Bocconi, divenne banchiere e per sfuggire ai bombardamenti del 1943 sfollò a Varese dove nacque il futuro premier. Di lì a poco i Monti rientrarono a Milano e il piccolo Mario cominciò a indossare il loden. Il Leone XIII, liceo dei Gesuiti, da lui frequentato era a due passi dall’Istituto femminile delle Marcelline, dove i ragazzi si fermavano a fare il filo alle coetanee. Potrete non crederci, ma anche Mariotto si mise a sbirciare finché l’occhio non cadde su Elsa Antonioli, l’attuale first lady suo unico amore. Quando dopo la laurea, Monti stava andando a Yale per perfezionarsi, Elsa gli disse: «Prima mi sposi». Così, a 24 anni, Mario convolò, con cerimonia all’Abbazia di Chiaravalle, pranzone nel refettorio e poi via di corsa con la sposa sul volo per Yale. È la cosa meno ingessata che ha fatto. Poi si è impalato.