Daniele Manca, Corriere della Sera 19/2/2013, 19 febbraio 2013
L’attenzione riservata al nostro Paese dall’estero dovrebbe inorgoglirci. Siamo uno dei membri fondatori dell’Unione Europea
L’attenzione riservata al nostro Paese dall’estero dovrebbe inorgoglirci. Siamo uno dei membri fondatori dell’Unione Europea. Ottava potenza industriale al mondo. Purtroppo non tutti ci guardano con occhi benevoli. Piccoli indizi, che prendono la forma di codicilli in alcuni prodotti finanziari, ci raccontano di sguardi ben poco amichevoli nei nostri confronti, preoccupati per una futura ingovernabilità. Un prestito obbligazionario, emesso dalla Mercedes-Daimler, di una cifra non enorme per i mercati finanziari, 150 milioni di euro, prevede, secondo Moody’s e l’agenzia Bloomberg che ne ha dato notizia, una sorprendente e inedita clausola di garanzia. Il debito potrà essere restituito in una moneta che al momento dei pagamenti, nell’agosto del 2015, «sarà la valuta con corso legale in Italia». Come a dire: l’euro oppure anche un’altra moneta locale, la lira? Detto ancora più chiaramente: in questa campagna elettorale, con qualche leggerezza di troppo, si sta dando per scontato che l’euro possa continuare a farci da scudo. All’estero c’è chi non lo pensa e tiene conto del rischio di un’Italia fuori dalla valuta unica. Le proporzioni sono diverse. Ma è ancora fresco il ricordo di quel luglio del 2011. Il Financial Times riporta la notizia che la Deutsche Bank nei primi sei mesi dell’anno ha ridotto dell’88% la quota in Btp. Che cosa è accaduto dopo è noto. L’autunno terribile dello spread portò alla caduta del governo Berlusconi. E proprio quella parola che ha dominato il dibattito nell’ultimo anno e mezzo sembra improvvisamente scomparsa o quasi dai discorsi dei candidati alla guida del Paese. Lo spread, ieri a quota 277, pare interessare molto poco. Per dovere di cronaca, sempre nel luglio 2011, era attorno ai 330 punti. Si tratta di una colpevole dimenticanza. Lo spread attuale significa che dobbiamo garantire quasi il 3% in più di interessi agli investitori che prestano soldi al nostro Paese rispetto alla Germania. E questo costringe l’Italia a una corsa senza fiato per pagare ogni anno tra i 70 e gli 80 miliardi di soli interessi agli investitori che ci prestano soldi. Comprensibile la preoccupazione dei mercati finanziari. Gli editoriali che si succedono all’estero mostrano lo smarrimento, al limite dell’incomprensione, con il quale viene seguito il dibattito politico. Al punto di spingere l’editorialista del Financial Times Wolfgang Munchau a scrivere ieri che «un risultato a sorpresa è possibile, in qualsiasi direzione». È come se si iniziasse a quotare una possibile ingovernabilità post elezioni. Traspare una mancanza di fiducia che non ci meritiamo. Che non ci meritiamo come Paese e come cittadini. Gli sforzi che in questi anni abbiamo fatto per tenere agganciata l’Italia all’Europa, per ripagare i nostri debiti attraverso una insopportabile pressione fiscale, non possono essere vanificati da una campagna elettorale appassionata più alle polemiche e alle promesse che a descrivere programmi e intenzioni. Mancano cinque giorni al voto. La nostra democrazia è forte. Non ha bisogno di tutori che dall’estero ci indichino la strada. Ma dobbiamo dimostrare che non andiamo al voto solo per contarci e magari rivotare tra qualche mese. Per farlo oggi servono le parole della campagna elettorale. Domani i fatti del governo che uscirà dalle elezioni.