Marco Bellinazzo, Il Sole 24 Ore 17/2/2013, 17 febbraio 2013
È DI 15 MILIARDI L’IMPONIBILE SOTTRATTO ALL’ITALIA
Per farsi un’idea dei danni causati dal cosiddetto profit shifting alla base imponibile italiana, basta rileggere il rapporto della Guardia di Finanza sui risultati della lotta all’evasione internazionale del 2012: oltre 15 miliardi di euro scoperti dalle Fiamme Gialle nel corso delle loro investigazioni derivano, infatti, da stabili organizzazioni "non dichiarate" di imprese estere che hanno operato nella Penisola (13,4 miliardi) e da illegittime forme di triangolazione con Paesi off-shore legate a manovre di pianificazione fiscale aggressiva (1,7 miliardi).
Queste procedure, adottate soprattutto dalle multinazionali, hanno eroso il Pil italiano nascondendo ricavi o facendo valere irregolarmente costi deducibili e hanno sottratto all’Erario oltre tre miliardi di imposte.
Alla luce di questi dati meglio si comprende l’offensiva lanciata in tutta Europa contro players globali del calibro di Google, Amazon e Microsoft accusati di ottenere utili ragguardevoli nei vari paesi in cui operano senza pagarvi la giusta parte di imposte grazie a strategie imperniate sulla triangolazione con giurisdizioni fiscali "accomodanti".
L’agenzia delle Entrate ha selezionato negli ultimi mesi, in particolare, «gruppi multinazionali attivi nel settore dell’elettronica e dell’e-commerce» da sottoporre a controllo. Ma il contrasto ai «fenomeni di pianificazione fiscale aggressiva aventi scala transnazionale» si è già tradotto, in collaborazione con la Guardia di Finanza, in ispezioni e verifiche che hanno coinvolto, tra gli altri, Google Italy, Amazon, Apple e, su un analogo versante, il vettore low cost Ryanair.
A finire sotto la lente degli 007 del Fisco sono, appunto, i modelli organizzativi delle multinazionali che "dirottano" – senza violare direttamente la normativa fiscale, ma di fatto sfruttandone le lacune – i propri ricavi verso le sedi aperte in paesi a fiscalità privilegiata.
Sono due i fronti principali di questa battaglia. Il primo è quello della stabile organizzazione. Come nel caso di Google Italy, i controlli dell’amministrazione finanziaria puntano a riqualificare la tipologia di business di quelle multinazionali che, ufficialmente, hanno sede all’estero e sono attive nella Penisola soltanto con diramazioni non autonome o mere rappresentanze fiscali. In questo modo, i ricavi maturati vengono trasferiti oltreconfine e la quota di fatturato su cui si versano le imposte in Italia è ridotta al minimo.
Il secondo fronte su cui insistono le contestazioni del Fisco è quello del transfer pricing. Non di rado, le politiche dei prezzi dei servizi svolti o dei beni venduti dalle strutture italiane alle altre società del gruppo con sede all’estero sono tali da provocare un depauperamento dei bilanci delle prime. Con la conseguenza di ridurne considerevolmente la base imponibile.
L’amministrazione finanziaria perciò sta passando al setaccio i contratti tra le realtà italiane e le società dello stesso Gruppo residenti in paesi diversi per confrontare i prezzi fissati dalla casa-madre con quelli praticati sul mercato di riferimento.
Per evitare sgradite sorprese alcune multinazionali, come Microsoft, nei mesi scorsi hanno avviato procedure di ruling internazionale con l’agenzia delle Entrate per definire anticipatamente le soglie più corrette dei prezzi da applicare ai trasferimenti infragruppo.