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 2013  febbraio 18 Lunedì calendario

AFFARI OLTRE TEVERE E FASCISMO SECONDO UN GIORNALE INGLESE

Ho letto l’articolo di David Leigh, giornalista del The Guardian, nel settimanale Internazionale dell’1 febbraio intitolato «Il segreto del Papa». L’articolo riporta come dato storico il pagamento da parte di Mussolini al Vaticano di una ingente somma di denaro in cambio del riconoscimento del regime fascista da parte del Papa. Con la somma ricevuta il Vaticano ha investito in vari immobili nel centro di Londra, Parigi e in Svizzera (in Italia ne aveva già tanti). Vorrei un suo commento.
Luciano Bosello
boselloluciano@libero.it
Caro Bosello, peccato. Il Guardian è un antico giornale radicale e ha ancora oggi il merito di assumere posizioni spregiudicate e coraggiose sulle grandi questioni politiche e sociali del momento. Ma l’articolo firmato da David Leigh, Jean-François Tanda e Jessica Benhamou sugli investimenti immobiliari dello Stato della Città del Vaticano nel mercato londinese è viziato da una svista storica, più volte ripetuta nel testo, che ha il brutto odore del più vecchio e trito anti-papismo inglese. Sino dal sottotitolo gli autori sostengono che gli investimenti vaticani nel Regno Unito, a partire dal 1931, hanno origini fasciste e che il denaro utilizzato dalla Santa Sede fu il prezzo pagato da Mussolini per il riconoscimento del suo regime.
Il lettore ignaro dei rapporti fra Italia e Chiesa Cattolica dopo l’Unità non troverà nell’articolo alcun cenno né alla Legge delle Guarentigie, promulgata dal governo italiano nel 1871, né al Trattato del Laterano e al Concordato firmati a Roma nel febbraio 1929. La legge fissava la somma che lo Stato italiano avrebbe versato alla Santa Sede, ogni anno, per garantirle, dopo la fine del potere temporale, una certa autonomia finanziaria. Per non pregiudicare il loro diritto ai territori perduti, Pio IX e i suoi successori rifiutarono d’incassarla e gli arretrati, compresi gli interessi, ammontavano nel 1929 a tre miliardi e 160 milioni di lire. Il Trattato riconosceva l’esistenza di uno Stato Vaticano, ne faceva un soggetto internazionale e liquidava il contenzioso finanziario, dopo un intervento di Mussolini, al ribasso: 750 milioni in contanti e un miliardo in consolidato 5 per cento al portatore. Il Concordato, infine, stabiliva quali sarebbero stati i rapporti fra Chiesa e Stato italiano all’interno del territorio nazionale. Non so come il Guardian abbia annunciato allora l’avvenimento. Ma ho fra le mie carte una fotocopia della prima pagina del Times, il maggiore quotidiano londinese del tempo, in cui la Conciliazione viene trattata come un evento d’importanza storica. Mussolini trasse grande vantaggio personale dalla conclusione degli accordi e divenne, agli occhi della Chiesa, l’«uomo della Provvidenza». Ma la firma dei trattati concludeva un’operazione avviata da Francesco Crispi e ripresa, più recentemente, da Vittorio Emanuele Orlando. Aggiungo che la benevolenza della Chiesa verso il regime era già stata acquisita da Mussolini quando la curia romana aveva incoraggiato l’esilio di Don Sturzo, leader del Partito popolare, e osservo che i rapporti fra Italia e Santa Sede, negli anni seguenti, furono tutto fuorché idilliaci.
La somma versata alla Santa Sede fu affidata dal Papa a un finanziere milanese, Bernardino Nogara, che divenne, di fatto, il primo ministro vaticano del Tesoro. Il suo ritratto, nell’articolo del Guardian, è quello di un malizioso e scaltro Cagliostro, ma il suo maggiore obiettivo, in anni di guerre e rivoluzioni, fu quello di mettere il denaro al riparo da svalutazioni, sequestri e confische. Ebbe certamente anche un’altra preoccupazione: quella di separare per quanto possibile la Santa Sede dal suo patrimonio e dall’uso che ne veniva fatto. Il denaro ha una sua logica che non è quella di una istituzione religiosa, e occorreva evitare che il Papato venisse pubblicamente coinvolto in operazioni discutibili. Al tempo di Nogara questa opacità sarebbe stata compresa a accettata; oggi, in una clima politico e morale alquanto diverso, il vescovo Marcinkus e lo Ior (Istituto per le opere di religione) hanno procurato alla Santa Sede, sino ai nostri giorni, più guai che benefici. Ma questa, ovviamente, è un’altra storia.
Sergio Romano