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 2013  febbraio 18 Lunedì calendario

DA BOMBASSEI A GALLI, DA IDEM A VEZZALI: I DUELLI CHE NON ABBIAMO VISTO —

Gli storici duelli nei collegi del maggioritario sono un ricordo lontanissimo, consegnato a ritagli ingialliti di giornale. Ai tempi del Porcellum, delle liste bloccate e dei parlamentari nominati, l’onore e l’onere della rissa politica è riservato ai soli leader, intenti a beccarsi ogni giorno in un metaforico pollaio che li vede rinchiusi in gabbie separate: Berlusconi contro Monti, Monti contro Bersani, Bersani contro Berlusconi, Berlusconi contro Giannino, Ingroia contro Bersani, Grillo contro tutti: «I politici? Facce di bronzo, facce di merda, facce da culo — li apostrofa un giorno sì e l’altro pure il guru di M5S — Parassiti, pidocchi, mignatte, zecche, virus...». Ma dietro le quinte della scena madre, e dunque sulle poltroncine degli studi tv, i comprimari se le menano di santa ragione, dando vita a scontri furibondi destinati a rimbalzare in eterno sulle pagine del web.
Tra i «castigamatti» di professione va ascritto di diritto l’economista Michele Boldrin, classe 1956, che ama definirsi un «liberista combattente». Il 15 febbraio a Piazza Pulita il candidato di Fermare il declino — già noto per aver litigato a tempo debito con Alessandro Sallusti, Renato Soru, Roberto Cota, don Gallo, Roberto Castelli, Stefano Fassina e moltissimi altri — si è fatto notare per un siparietto niente affatto sobrio con Loretta Napoleoni, solido punto di riferimento dei grillini. «Lei non è un’economista», l’ha derubricata Boldrin. E la signora, piuttosto offesa: «Lei è un cafone». Come racconta Il Foglio di sabato in un lungo ritratto firmato da Marianna Rizzini, il litigio è approdato il giorno dopo su Twitter. E lì Napoleoni ha invitato le potenziali elettrici di Fermare il declino a «riflettere sul maschilismo di personaggi come Boldrin», al quale tra l’altro addebita «tentativi di stupro intellettuale del branco di omiciattoli italioti».
Parole forti, ma nemmeno troppo in una campagna che ha sdoganato tutti gli insulti possibili e immaginabili e liberalizzato le più acrobatiche metafore, intrise di giaguari, tacchini e altri animali.
Qualche giorno fa, dovendo ricorrere al termine «cazzata», Berlusconi si è incaricato di spiegare che il sostantivo non è più una parolaccia. E dunque ecco su Twitter l’imprenditore Flavio Briatore che cinguetta con un suo seguace a proposito di un tale «caghetta». E chi sarebbe, chiede al suo follower il già manager di Formula 1, Mario Catania? Sbagliato! Il simpatico epiteto, chiarisce l’amico di Briatore, era rivolto a Gianfranco Fini... Ma fa nulla, perché nella pagina «social» di Briatore ce n’è anche per il ministro dell’Agricoltura, candidato dell’Udc e colpevole di aver detto in quel di Saluzzo, terra natale dell’imprenditore piemontese, che l’Italia di Briatore non gli piace. Giudizio prontamente ricambiato via Twitter dal marito della Gregoraci: «Che figo questo ministro... Chiediamogli quanti posti di lavoro ha creato e con quale meritocrazia è andato al governo».
Avanti così, in un crescendo rossiniano che rischia di allontanare ancor più gli italiani dalla politica. Quando Monti invita Bersani a «silenziare Fassina», Renato Brunetta difende l’avversario democratico e si scaglia contro il premier: «È impazzito? Ha perso la testa». E quando il Professore inciampa nella gaffe sulla «statura accademica» dell’onorevole pidiellino, Brunetta ricambia con «tecnocrate autoritario, disinformato e pasticcione». Ma il più elettrico, verbalmente parlando, è il Cavaliere. Oscar Giannino lo insidia in Lombardia e Berlusconi prova a stopparlo: «Qualcuno ha detto che sono un guitto senza testa. Lo ha detto uno che è pronto a entrare in un circo per come si veste e si chiama Giannino».
Duelli imprevisti e duelli mancati. Che fine hanno fatto la canoista democratica Josepha Idem e la schermidrice montiana Valentina Vezzali? Dovevano incrociare focosamente le lame e invece si sono limitate a punzecchiarsi, una in punta di fioretto, l’altra in punta di remo. A distanza di sicurezza si sono tenuti anche Piero Ichino e Maurizio Sacconi, per non dire di Giampaolo Galli e Alberto Bombassei: nessuno è riuscito a mettere l’uno contro l’altro l’ex direttore generale di Confindustria, candidato con Bersani e il patron della Brembo, schierato con Monti.
Paradossi di una campagna irripetibile. Si spera...
Monica Guerzoni