Pietro Scibetta, La Stampa 18/2/2013, 18 febbraio 2013
L’ESILIO FELICE DI MESSINA “IL VOSTRO BASKET? FERMO”
Mosca, Leningradsky Prospect 39. A pochi passi c’è lo stadio della Dinamo, con l’omonima fermata della linea 2 della metropolitana, che ne dista solo quattro da Teatralnaya, tra la Piazza Rossa e il Teatro Bolshoi. Ettore Messina, a quell’indirizzo, ha ritrovato il suo ufficio nella sede del Cska Mosca, all’interno del palazzetto in cui la sua squadra di basket gioca e si allena. Aveva lasciato la Russia nel 2009, dopo la quarta finale di Eurolega in quattro stagioni, per allenare il Real Madrid, ma non è andata come sperava.
Ci è tornato dopo l’esperienza ai Los Angeles Lakers, convinto dalla chiamata del non ancora quarantenne presidente Andrey Vatutin. «Una persona di grandissima cultura - dice Messina -, che ha avuto la personalità di subentrare a un grande dirigente come Sergey Kushchenko dopo il ritorno alla vittoria in Eurolega». Vatutin ha più volte ribadito di non aver cercato altri allenatori che non l’ex ct azzurro dopo la clamorosa rimonta subìta nella finale di Eurolega a Istanbul contro l’Olympiacos. «Ho ritrovato un ambiente e una società diversi per due motivi. Quando arrivai, nel 2005, si inseguiva la vittoria in Eurolega da oltre trent’anni. Oggi la situazione psicologica è diversa: magari c’è meno appetito, ma l’abitudine alla vittoria, costruita anche negli anni precedenti al mio arrivo, quando il club centrò diverse Final Four con Dusan Ivkovic».
L’abitudine alla vittoria. E le aspettative che ne conseguono. Per questo la vita moscovita di Messina, che ha da poco pubblicato il suo terzo libro («Basket, uomini e altri pianeti», scritto con Flavio Tranquillo), non è molto diversa da quella che ha condotto altrove: casa e tanto lavoro, tra ufficio, palestra, partite e trasferte. «Per chi ha il tempo di viverla, Mosca è una città che offre tantissimo, almeno rispetto alla prima volta che ci ho vissuto. È una megalopoli sempre più complessa, con un traffico ancora più esasperante e uno sviluppo urbanistico più marcato. Anche la squadra è cambiata: stante la partenza verso la Nba di stelle come Andrei Kirilenko e Alexey Shved e il ritiro di Siskauskas, abbiamo dovuto ricostruire il gruppo quasi da capo, mentre nel 2005 ereditai un team molto forte e consolidato, con elementi come J.R. Holden, David Andersen, Theo Papaloukas e giocatori russi importanti come Sergei Panov. Il Cska però ha la stessa filosofia e la voglia di stare insieme in un contesto di altissima professionalità. Il libro? Credo molto in questo strumento, come credo nel giornale: da qui leggo i quotidiani italiani in digitale,ma resto affezionato al rito di sfogliare la carta davanti al caffè».
Questa seconda volta di Ettore Messina in Russia ha in sé diversi elementi di curiosità, anche per provare a capire cosa ha dato al coach italiano l’esperienza nello staff dei Los Angeles Lakers nella passata stagione. Una delle risposte a questa domanda ha un nome e un cognome, e siede di fianco a lui in panchina. Si tratta di Quin Snyder, 46 anni, che come Messina un anno prima ha scelto di vivere un’esperienza deltutto nuova, accettando il ruolo di assistente al Cska lasciandosi alle spalle i Lakers e la Nba (dove ha lavorato anche con i Philadelphia 76ers).
«A noi ha portato la sua grande competenza tecnica, nonché la curiosità e la voglia di scoprire un mondo diverso, tutte cose che rappresentano un valore aggiunto per noi. Inoltre, averlo qui dà la possibilità a un club di portata internazionale come il Cska di avere rapporti ancora più stretti con la Nba».
Il livello più alto possibile, insomma, dentro e fuori dal campo, con giocatori e strutture di altissima fascia, dove bisogna persino coprire le scarpe per andare negli spogliatoi evitando di sporcare. Tutto molto distante dal basket italiano che, Siena a parte, continua a soffrire in Europa e ha molti problemi al proprio interno, in particolare di natura economica. «Tutti aspettavano Milano come dominatrice della stagione, ma invece di soffermarmi su chi finora ha un po’ deluso evidenzierei il lavoro fatto da Varese, Sassari e Roma per portarsi ai vertici o la capacità di Siena di riciclarsi per restare al top».
Se ne potrebbe parlare a livello dirigenziale, forse, dove un po’ tutto lo sport italiano - di fatto - non ha proposto nomi nuovi ai vertici delle proprie istituzioni. Non l’ha fatto nemmeno il basket, che ha visto Gianni Petrucci, in uscita dal Coni, tornare in sella alla Federbasket. «Ho letto anche io le critiche su Petrucci, ma il basket aveva un Matteo Renzi da proporre? Non ho visto alternative credibili a Petrucci, che recentemente ha detto cose giuste nei confronti di chi si assume degli impegni e poi alla prova dei fatti non è in grado di portarli avanti. Ha detto “una cosa di sinistra”, come quella che Nanni Moretti chiedeva a Massimo D’Alema nel film Aprile, e ovviamente è stato contestato. Ma i club che non possono garantire gli impegni economici assunti devono agire di conseguenza. Altrimenti di che parliamo?».
Un ritratto del basket che non dista poi molto da quello del nostro Paese nel suo insieme. «In politica vedo una sola chance per l’Italia: la cooperazione tra Bersani e Monti che assicuri governabilità e rassicuri i partner internazionali. Se leader importanti come Obama e Merkel la auspicano non è certo per simpatia personale, ma perché badano a precisi obiettivi economici. La cosa peggiore che possa accadere alle prossime elezioni è di non avere poi una coalizione in grado di governare. Sarebbe un altro caos».