Paolo Mastrolilli, La Stampa 18/2/2013, 18 febbraio 2013
TROPPE RIUNIONI ROVINANO IL LAVORO
A chi criticava la sua propensione per risolvere i problemi nell’immediato, John Maynard Keynes rispondeva che «nel lungo periodo saremo tutti morti». Forse gli editors del New York Times avevano in mente questa battuta, quando hanno deciso di lanciare la loro rivoluzione contro i troppi meeting, le riunioni, gli incontri che affollano le nostre giornate di lavoro, togliendoci la speranza di realizzare qualcosa di concreto prima di essere passati a miglior vita. Fatto sta che il giornale della città più frenetica al mondo ha lanciato proprio questa campagna, consigliando a tutti di eliminare o accorciare i meeting, per concentrarsi invece sulle attività che producono davvero qualcosa di utile.
Da parecchio in America si ragiona su come cambiare le nostre abitudini: lavoriamo troppo, troppo in fretta, perdiamo troppo tempo, e così finiamo per concludere molto meno di quanto potremmo.
Carson Tate, fondatrice di una società di consulenza per il management che si chiama Working Simply e ha sede a Charlotte, ha dato il suo contributo pubblicando sul Times un articolo intitolato «When You’ve Had One Meeting Too Many». «Avete cominciato a tenere le vostre riunioni nel bagno dell’ufficio?», domanda l’autrice nella prima riga. Una sua cliente sì. È la leader di una grande organizzazione, che ad un certo punto si è resa conto che le riunioni la inseguivano anche quando andava alla toilette. I colleghi maschi naturalmente non potevano entrare, ma le femmine la seguivano e le parlavano da dietro la porta.
A quel punto, da buona manager, la signora ha fatto un ragionamento concreto: tutto questo è folle, ma almeno serve a qualcosa? La risposta è stata no, perché la maggior parte di questi meeting che soffocano la nostra esistenza non sono stati preparati bene, non producono risultati, sono troppo lunghi o sono semplicemente inutili, perché potrebbero essere sostituiti da una e-mail o saltati a pie’ pari, senza alcuna conseguenza per gli obiettivi dell’azienda. Per qualche ragione ci siamo convinti che mettere in calendario una riunione dopo l’altra significa essere efficienti, quando invece una mezz’ora salvata e dedicata ad altro, compresa magari la pennichella dopo pranzo, farebbe miracoli.
Carson Tate quindi ha suggerito alla sua cliente di ribellarsi. Il primo passo di questa rivoluzione consiste nel mettere in discussione qualunque proposta di meeting: è davvero utile e necessario? Se si tratta solo di una routine, bisogna avere il coraggio di dire no. Chi riceve il rifiuto, invece di offendersi, dovrebbe sentirsi stimolato ad organizzare meglio il lavoro. Se l’incontro è proprio indispensabile, bisogna impegnarsi sulla sua programmazione efficace. Come prima cosa, gli obiettivi della riunione devono essere chiari in anticipo a tutti i partecipanti, in modo che arrivino pronti a dare il loro contributo creativo in pochi minuti. È bene fare brevi elenchi per punti degli scopi da raggiungere, in modo da ripassarli tutti e non perdere tempo con chiacchiere superflue.
Una volta ottimizzato il programma, è necessario rivedere i tempi: davvero abbiamo bisogno di un’ora per parlare dell’agenda, o possiamo cavarcela con la metà dei minuti? Ad esempio, eliminiamo in partenza i convenevoli e le conversazioni sulla pioggia, il calcio o l’ultimo film visto in televisione.
Un’altra strategia molto efficace è quella di organizzare i meeting in piedi. Sembra una sciocchezza, ma quando la gente non sta comodamente seduta si concentra di più, e la stanchezza nelle gambe la spinge ad accorciare i tempi andando subito al sodo.
Non sono regole da prigione, anche se all’inizio possono apparire un po’ spartane. L’effetto positivo, infatti, è duplice: da una parte si diventa più efficaci, eliminando o riformando i meeting; dall’altra si guadagna in libertà, che poi ognuno può usare come preferisce. La cliente della signora Tate, ad esempio, si è conquistata lo spazio per fare la pipì senza testimoni.