Marco Panara, Affari&Finanza, la Repubblica 18/2/2013, 18 febbraio 2013
DA ENI A ENEL, FINITA L’ERA LETTA COSÌ L’ITALIA CAMBIERÀ PADRONI
L’Italia cambia padroni. Questa settimana sapremo “come” da questa parte del Tevere, qualche settimana dopo anche cosa avverrà sull’altra sponda. Nuova maggioranza, nuovo governo, nuovo Papa e nuova Curia, nuovo presidente della Repubblica. Cambieranno gli uomini e i rapporti di forza. Quello che sta per accadere è la fine del ciclo lungo e possente di un sistema di potere che ha segnato il paese per quasi quindici anni. Si incrociano in una concentrazione impressionante scadenze anticipate e rinunce inaspettate, scadenze naturali e passaggi generazionali, esaurirsi di tendenze ormai consunte e l’emergere faticoso di tendenze nuove.
Quanto conterà, dentro e fuori dalle mura vaticane il trio cardinalizio Ruini, Bertone, Bagnasco - le cui divisioni hanno forse qualcosa a che vedere con la scelta di Benedetto XVI - dopo l’arrivo di un nuovo Vescovo di Roma? E chi saranno gli uomini forti della nuova Curia e i loro interlocutori nei palazzi romani?
Questo è solo un pezzo del puzzle, anche se importante abbastanza da condizionare la collocazione di molti degli altri.
Tornando da questa parte del Tevere, tra otto giorni lo sapremo con certezza, ma è assai probabile che le nomine che contano non saranno più l’esito dei duelli tra Gianni Letta e Giulio Tremonti, che nel decennio passato si sono divisi presidenti e amministratori delegati di authority, enti pubblici e società il cui controllo è nelle mani dello Stato. Non saranno più il “Celeste” Formigoni, Ignazio La Russa e la Lega, a spartirsi i posti in consiglio di Eni ed Enel, Terna e Finmeccanica. Si disperderà il terzetto formato da Vittorio Grilli, Mario Canzio e Vincenzo Fortunato, che con Tremonti prima e poi con Monti hanno tenuto in pugno il ministero dell’Economia, il luogo di massima concentrazione del potere che c’è in Italia, dove si fanno le nomine nelle cosiddette “ex” partecipazioni statali, si fanno le politiche, si dà e si toglie spazio (e risorse) a ministeri e ministri, decidendo di fatto le fortune o le sfortune politiche di questi ultimi. Grilli, a quel che pare, sarà fuori dal prossimo governo, Fortunato, che pure con la consueta abilità sta avvicinandosi a Monti, non dovrebbe sedere più alla scrivania sulla quale passano e dalla quale si decide il destino di tutti gli atti di tutti i ministeri. Mario Canzio andrà in pensione e non sarà più Ragioniere Generale dello Stato, l’uomo che con il suo insindacabile “bollino” decide quali leggi possono passare e quali no.
Tramonta la parabola infinita di Lamberto Cardia, presidente quasi ottantenne delle Ferrovie dello Stato in scadenza il prossimo maggio, e con lui una delle cordate più potenti in quello “Stato nello Stato” che è il sistema di potere fatto di consiglieri di Stato e magistrati del Tar. Declina quella di Pasquale De Lise, altre grande capo cordata in quello stesso mondo e si appanna quella di Antonio Catricalà, anch’egli pezzo chiave di quel mondo, orfano di Gianni Letta e forse ancora non abbastanza montiano da garantirsi un futuro in uno degli snodi chiave.
Ma il cambiamento che si appresta a cominciare avrà una portata ancora più ampia. Sarà una valanga dalla quale a salvarsi potrebbero essere in pochi. Questa primavera scadono i consigli di Cassa Depositi e Prestiti e Ferrovie, probabilmente i luoghi dove i cambiamenti saranno meno profondi. Ad oggi sembrano avviarsi alla riconferma Franco Bassanini, scelto dalle fondazioni azioniste per la presidenza della Cdp e l’amministratore delegato Giovanni Gorno Tempini, ma difficilmente riavranno la loro poltrona di consiglieri l’ex sindaco leghista di Capergnanica Cristian Chizzoli ed Ettore Gotti Tedeschi, voluto da Tremonti.
Verso la riconferma sembra andare anche l’amministratore delegato delle Fs Mauro Moretti, improbabile invece quella del presidente Lamberto Cardia e dei consiglieri Alberto Brandani vicino all’Udc (navigatore abilissimo, quindi non si può mai dire), e del leghista di scuola veneta Stefano Zaninelli, assai vicino al sindaco di Verona Flavio Tosi.
Nel consiglio di Finmeccanica (che scadrebbe l’anno prossimo), oltre a un nuovo presidente al posto di Giuseppe Orsi, dimessosi dopo l’arresto, è possibile che volga al termine l’esperienza di Giovanni Catanzaro, legato a Ignazio La Russa, e del leghista Dario Galli. La partita, nel gruppo al centro delle inchieste per tangenti internazionali, è ancora tutta aperta e toccherà al prossimo governo dipanare la matassa.
Il grosso però è in calendario per il 2014. Con le assemblee che approveranno i bilanci dell’anno in corso completeranno il loro mandato i consigli di amministrazione di Eni, Enel, Terna, Poste, Fintecna, dai cui nuovi vertici dipenderanno poi presidenti, amministratori delegati e consiglieri di centinaia di società controllate. Nelle decisioni che spetteranno al prossimo governo peseranno fattori politici e risultati ma anche molti altri elementi. Massimo Sarmi guida le Poste da 12 anni e nel suo consiglio ci sono l’ex senatrice di Forza Italia Maria Claudia Ioannucci e il leghista Antonio Mondardo: nelle valutazioni del governo azionista conteranno i risultati, ma quei 12 anni di regno di Sarmi peseranno come un macigno.
Paolo Scaroni guida l’Eni da tre mandati, un regno anche quello, con in più lo scandalo algerino della Saipem per il quale risulta indagato lo stesso Scaroni. Un quarto mandato per il re italiano del petrolio appare assai improbabile, così come meno probabile del passato sembra una ricollocazione del sessantasettenne Scaroni in un’azienda a controllo pubblico. Il presidente Giuseppe Recchi, ex General Electric, è al primo mandato e il suo destino si vedrà, mentre pare già segnato quello dei consiglieri Paolo Marchioni (Lega) e Roberto Petri (La Russa).
Stessa situazione all’Enel, guidata da Fulvio Conti da nove anni, un periodo lungo abbastanza da suggerire un ricambio, che potrebbe toccare anche il presidente Paolo Andrea Colombo (vicino al Popolo delle Libertà) e qualche consigliere di ormai troppo lungo corso.
A Terna la coppia Luigi Roth presidente e Flavio Cattaneo ammini-stratore delegato, dopo tre mandati è anch’essa in bilico. Espressione del mondo cattolico lombardo formigoniano e non il primo, legato inizialmente a La Russa e poi anche a molti altri il secondo.
Infine c’è Fintecna, presieduta da Maurizio Prato, scuderia Iri, presidente anche del Poligrafico dello Stato, il cui amministratore delegato è il tremontiano Massimo Varazzani.
Sarmi, Scaroni, Conti, Cattaneo, sono tutti al vertice da nove anni o più, un ciclo lunghissimo che indica l’esigenza di un rinnovamento che sarà il più radicale nei centri di potere dell’economia italiana da due lustri a questa parte.
Ma questo è solo il primo stadio dell’operazione rinnovamento. Ciascuna di queste holding pubbliche ha nella sua pancia decine di società, che vuol dire altrettanti presidenti e amministratori delegati e centinaia di poltrone nei consigli di amministrazione, sulle quali si scatenerà la guerra di conquista da parte di nuovi e vecchi poteri.
A Palazzo Chigi, al ministero dell’Economia e a quello per lo Sviluppo dovranno mettersi al lavoro presto e di buona lena. Ma il buongiorno, come sempre, si vedrà dal mattino. Il nome dei prossimi ministri dell’Economia e dello Sviluppo e quello del sottosegretario alla presidenza del consiglio daranno la prima indicazione, la seconda arriverà dall’uomo che sarà scelto come capo di gabinetto dell’Economia e dal successore di Canzio alla Ragioneria Generale. Poiché sarà chi coprirà quelle posizioni - quelle dove c’è il potere vero - a scrivere lo spartito, se si vuole cambiare musica dipenderà da chi andrà ad occuparle.
Non sappiamo ancora chi vincerà le elezioni e quale maggioranza sosterrà il governo, ma nei luoghi segreti del potere la grande partita del riposizionamento è già cominciata e tra una settimana si farà furibonda. Chi arriva a Palazzo Chigi dovrà avere vista lunga, capace di guardare oltre i travestimenti, mano ferma e una buona dose di coraggio nell’innovare. Sarà misurato su questo. E sulla capacità di imparare dagli errori del passato. Tra i quali l’ignavia dello stato azionista. Se il nuovo governo deciderà che lo Stato vuole continuare a controllare aziende considerate strategiche per l’interesse del paese, allora il suo ruolo di azionista sarà bene che non si concretizzi nel nominare un po’ di figure minori nei consigli di amministrazione per far contente le varie correnti che lo sostengono. Dovrà definire le strategie, fissare gli obiettivi e controllare che le prime siano perseguite e i secondi raggiunti, senza entrare nella gestione che dovrà affidare agli uomini giusti, presidenti, amministratori delegati e anche consiglieri. Sono tempi complicati, è finita l’epoca di un uomo solo al comando, ogni azienda deve avere il suo leader, ma il capo deve essere supportato da un consiglio di amministrazione di alto livello, in grado di analizzare, discutere e decidere con consapevolezza in aziende che operano sul mercato mondiale in settori dinamici e complessi come l’energia, la difesa, la tecnologia.
E qui arriveranno i problemi: il primo sarà la volontà e la forza di sceglierli in base alle competenze e non alle appartenenze. Il secondo sarà trovarli: l’Italia in cui l’Iri, la Fiat, l’Olivetti, la Comit erano grandi navi scuola dove si formavano i nuovi manager non c’è più.