Paolo Rossi, la Repubblica 18/2/2013, 18 febbraio 2013
LA RAGAZZA VOLANTE
Ma quali scherzi della natura e follie della mente. Chi l’aveva detto che le donne non potevano volare? Che non potevano saltare con gli sci? Che era un affare per soli uomini? Volano, eccome se volano. E rubano la scena, sono capaci di prendersi tutto il potere: Elena Runggaldier alfiere azzurro agli imminenti Mondiali della Val di Fiemme è la rivoluzione dello sci nordico. Una saltatrice portabandiera: il down under di tutti gli equilibri.
Eppure, succede. Che un movimento sportivo inesistente agli inizi degli anni Duemila, praticamente inventato in Val Gardena più o meno una decina di anni fa, possa oggi vantare una medaglia mondiale, e in quale luogo poi: nientemeno che ad Oslo, nel tempio di Holmenkollen. Grazie a Elena Runggaldier, ovviamente. E a quel visionario di Romed Moroder, che oggi ha voluto fare un passo indietro e, dopo aver creato il salto femminile, è tornato con umiltà ad occuparsi dei giovani, nella speranza di regalare altri sogni ad altre generazioni.
È solo grazie a questo tecnico gardenese che il 1° aprile (non era uno scherzo) del 2002 un manipolo di ragazzine, tra cui Elena Runggaldier (tra cui le altre pioniere Lisa Demetz e Evelyn Insam), si fa convincere a sfidare l’aria invece di sciare, facendo slalom per i boschi. Le ragazzine ci stanno: in fondo - pensano potrebbe essere la scusa per regalarsi po’ di adrenalina gratis: il bungee jumping tocca pagarselo. Un salto qua, un altro là e lo scherzo diventa un piacevole gioco: «In aria mi sento libera e leggera, ed in quei pochi secondi anche il grande cielo sopra di me sembra più vicino» ammette con stupore
la Runggaldier.
Lo sguardo degli altri, di chi le circonda e le
vedeva armeggiare
su quei trampolini, cambia rapidamente. Chiunque comprende di non essere davanti ad un caso di folklore, o un tentativo maldestro di marketing sportivo, un circo moderno. I primi, timidi tentativi, durano lo spazio di un rodaggio. Così Moroder chiama la Fisi, la federazione, che risponde positivamente e l’avventura comincia. «La tuta, i colori azzurri. I ritiri, i voli, le trasferte». Elena Runggaldier ricorda i suoi inizi come fosse tanto tempo fa, ma sono memorie di ieri. «L’amicizia tra noi ragazze, la condivisione delle sensazioni, le nuove emozioni... ». I salti dal trampolino sono un ponte per la libertà, mica un pericolo. «E neppure adesso,
neanche dopo la caduta di Sochi a dicembre, la botta in testa, la commozione cerebrale, ho pensato di smettere». Come i piloti di Formula Uno dopo un incidente, che tornano subito a guidare come se non fosse accaduto nulla. «Non si può avere paura. Tutto, ma la paura proprio no».
Il salto è così, se ti prende poi lo ami per tutta la vita. «Ho ancora ventidue anni, ma penso che quando smetto mi piacerebbe insegnare agli altri, dare il giusto messaggio, motivare i bambini». Chiamala, se vuoi, filosofia di montagna, solidarietà alpina. Oppure, semplice e buona educazione. Come quella che Elena ha ricevuto dal papà vigile urbano («la disciplina») e dalla mamma prof di sostegno («la sensibi-lità, e la comprensione
per quelli che sono i veri problemi della vita»). Forse sono proprio questi valori, più semplicemente, che ti fanno superare il dolore della perdita. Di Simona Senoner, la compagna che se n’è andata in una stanza d’albergo a Schonach, nella Foresta nera, prima di una competizione. Senza un perché, una parola. Di colpo. Per colpa di una maledetta meningite, giusto il giorno della Befana del 2011. Cose che distruggono, dalle quali potresti non più riprenderti. Meno male che ci sono i salti. L’appiglio. «A quelli alla fine ti aggrappi ». Ti aiutano a risollevarti, a liberarti di quel groppo: a Oslo, ad esempio, un mese dopo. Ai Mondiali, prima del salto decisivo. Sul dente, Elena era tesa come una corda di violino. Poi il dito, alzato in ricordo dell’amica scomparsa. Il mondo che si commuove. E lei che salta, quasi ad occhi chiusi: «perché si deve sentire quando saltare, non vedere». La magia funziona: arriva l’argento, la prima medaglia della
storia azzurra.
E ora? Due anni dopo, tante cose sono cambiate: «l’allenatore:
non c’è più Ebenoch, ma il francese Julien Eybert Guillon». È cambiato anche il fidanzato: «Nel senso che non c’è...». Era, una volta, il fondista Hofer. «Sono single, ma va bene così...» dice bluffando questa altoatesina dagli occhi blu che parla, nell’ordine: ladino, tedesco, italiano, inglese e, in ultimo, francese. Ma non studierà il cinese: «Non li trovo carini...» scherza. Due anni dopo,
e qualche premio in più, gli autografi da firmare sono aumentati: «anche in Italia» e, siccome la vita deve andare avanti, si può provare a scherzare: «Io salterei volentieri al mare, altro che». Un piccolo sogno, volendo: «Oh, io amo l’Italia. Purtroppo al mare posso andarci solo tra marzo e maggio, e quindi devo scegliere luoghi esotici». L’alfiere azzurro 2013 vorrebbe tanto pubblico a Predazzo, «come a Oslo, dove i salti sono lo sport nazionale». Intanto, per stemperare la tensione, legge: «Ken Follett. Ma leggo tanto, tutto quello che posso». Sceneggiature di azione, ma non i thriller. «Di quelli ho paura, sia nei libri che nei film. Mi fanno venire gli incubi».
Ha trascorso questa vigilia di Fiemme 2013 in famiglia, a casa, come un giorno qualunque. «Pronto?», dice papà Carl. «Buonasera, potrei parlare con Elena per favore?», «Sì, è in cucina: un attimo che gliela chiamo...».