Giulio Anselmi, la Repubblica 18/2/2013, 18 febbraio 2013
I GIOCHI STANNO APPENA INIZIANDO MA UNO “HA UNA MARCIA IN PIÙ”
“DA OGGI ha una marcia in più”. Il commento che si coglieva ieri sera tra cardinali, vescovi e monsignori di Curia, all’uscita della cappella Redemptoris Mater, opera dai toni bizantini realizzata all’inizio di questo secolo dal gesuita sloveno Rapnik, si riferiva al cardinale Gianfranco Ravasi. Non tanto per quello che aveva appena detto col suo amabile garbo di uomo di cultura, nel corso della prima predica degli esercizi spirituali vaticani, su ars orandi e ars credendi. Ma perché il fatto di parlare tre volte al giorno, fino a sabato mattina, davanti a un consesso che comprende i futuri elettori del Conclave (e con Benedetto XVI che assiste senz’essere visto da una stanza con affaccio sui presenti) conferisce alle sue parole e alla sua persona un peso crescente.
Ravasi era stato prescelto da tempo per “dare” gli esercizi, un incarico prestigioso e delicato nel mondo religioso, e veniva già inserito in quasi tutte le liste dei papabili, ma da ieri ha una diversa caratura. Può costruirsi, nei fatti, una piattaforma elettorale. E quelli che dicevano di lui «gran testa, uomo squisito, ma se gli chiedessi com’è fatta una parrocchia non saprebbe rispondere» continueranno a mormorare, ma abbassando la voce. Il dibattito, che si è infittito assieme al prender corpo dell’accelerazione delle votazioni per il prossimo papa, non riguarda naturalmente solo le qualità pastorali del prelato milanese. La straordinaria presenza di un Pontefice in carica, con tutti i dubbi di ordine teologico, ecclesiastico, politico e pratico che l’accompagna, ha finora un po’ distratto l’attenzione dai temi della successione ma, poco
a poco, prendono corpo alcuni schemi. C’è un imbarazzo generale per il fatto che non esiste una candidatura che si imponga con gran forza.
«Oggi non c’è un Ratzinger», sintetizza un vescovo italiano da poco romanizzato, dimenticando che otto anni fa anche quella candidatura non passò immediatamente, «quindi non si può parlare solo delle persone». In questa logica i primi conciliaboli enumerano le qualità richieste al successore: che abbia capacità pastorale, che sia in salute, che sia dotato di grande correttezza dottrinale ma anche in grado di trascinare, di trasmettere forza e speranza. Che abbia capacità di governo.
Qui emerge la critica, durissima, non solo a papa Ratzinger ma anche al suo predecessore Wojtyla: nessuno degli ultimi due pontefici ha saputo gestire la Curia. È una valutazione molto diffusa: già martedì, all’indomani dell’annuncio-shock, alcuni prelati vicini all’Opus Dei avevano scavalcato le rituali considerazioni laudatorie sull’addio, per confessare sinceramente: «Beh, almeno si è mosso qualcosa. C’era uno stallo mortale».
L’ultima caratteristica considerata necessaria al nuovo papa va sottolineata: occorre che conosca l’italiano. Che vuol dire, al di là dell’ovvia necessità che il vescovo di Roma riesca a farsi capire dai suoi fedeli? Per molti sacerdoti di diverso grado attivi nei 186 Paesi in cui la Chiesa cattolica è presente - ma anche nella Curia di Roma - i cardinali italiani hanno fornito un gramo spettacolo della loro divisione. E la corsa finale per lo Ior ne ha rappresentato l’ultimo atto. Come se non bastasse a ciascuno dei papabili “di casa” viene trovato un punto debole: all’arcivescovo di Genova Bagnasco la scarsa dimestichezza con le lingue straniere, al cardinale di Milano Scola la vicinanza a Comunione e Liberazione, cui certo non giova lo scandalo in cui sta affogando Formigoni col suo sistema di potere.
Alla Cei è facile trovare monsignori che giurano sull’esistenza di molti prelati stranieri per i quali i porporati italiani sono, malgrado tutto, i più “equilibrati”e, quindi, i preferibili. Ma potrebbe trattarsi di spirito di corpo. O di scaramanzia. I giochi stanno appena iniziando.