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 2013  febbraio 18 Lunedì calendario

LA GUERRA TELEVISIVA E IL RITORNO DEL COMIZIO


E ALL’IMPROVVISO nella più televisiva di tutte le campagne elettorali irrompe un’arma nuova, nuovissima, che però è la più antica di tutte: il comizio in piazza. In un freddo weekend di febbraio Beppe Grillo lascia tutti a bocca aperta riempiendo di folla piazza Castello a Torino.

E PIER Luigi Bersani riesce a radunare davanti al Duomo di Milano una platea così folta come non se ne vedeva da anni ad ascoltare il discorso di un politico. È la piccola grande rivincita del comizio sul talk show, della piazza sul teleschermo, e forse rivela qualcosa di più profondo del desiderio di ascoltare un candidato, magari è l’indizio che gli italiani non si accontentano più di vedere qualcuno che parla da chissà dove, ma vogliono esserci, vogliono ascoltare i protagonisti respirando la loro stessa aria, nella stessa piazza. Esattamente come hanno fatto quei cinquantamila cattolici che ieri mattina si sono ritrovati in un’altra piazza, davanti alla basilica di San Pietro, per sentire con le loro orecchie
la voce del primo Papa che sta per andare in pensione, e ogni tanto tremava anche a lui la voce per l’emozione di vedere quella gran folla venuta per salutarlo.
Il più soddisfatto è di sicuro Grillo, che è riuscito a trasformare in una mossa vincente quel rifiuto ostinato della tv che poteva risultare un gesto autolesionistico, in questa campagna così povera di manifesti e così ricca di interviste in studio. Inondando di grillini piazza Castello,
che non è la più grande ma certo la più spettacolare della città di Gramsci e di Gobetti, il comico che una volta riempiva i teatri ha completato simbolicamente il passaggio dalla piazza virtuale a quella reale, e ne è rimasto così soddisfatto che ha subito annullato con un tweet l’unica intervista televisiva che aveva promesso a Sky (candidandosi così a passare alla storia come l’unico leader che abbia fatto un’intera campagna elettorale senza che un solo giornalista abbia potuto fargli un paio di domande).
Centocinquanta chilometri più a est, rimirando quella piazza Duomo strapiena di milanesi che tifano per lui, anche a Bersani s’è scaldato il cuore, fino a fargli tirar fuori una promessa: «Ancora sette giorni e smacchiamo
il giaguaro». E più dell’arrivo a sorpresa di Romano Prodi, che i comizi non li ha mai amati davvero perché sono così diversi dalle sue lezioni, è stato il colpo
d’occhio delle bandiere del Pd e di Sel che ieri sembravano più numerose persino delle guglie del Duomo, a dargli la sensazione di stare davvero per farcela.
Chi c’è rimasto male, malissimo, è stato Berlusconi. Che avrebbe dovuto essere soddisfatto, pensavano i suoi, di quel Lingotto gremito di gente, di quella enorme sala così piena che i ritardatari si sono dovuti accontentare dei maxischermo (guardandolo ancora una volta in tv, dopo essere arrivati fin lì). E lui sì, sembrava allegro, ha fatto persino il suo numero interrogando il pubblico, come ai vecchi tempi. Eppure il tarlo dell’invidia alla fine deve aver colpito, perché a un certo punto non ha potuto nascondere la sua stizza per quelle piazze riempite dai suoi avversari. «Dovevamo andare in piazza anche noi, perché Grillo ci fa un baffo», ha scandito, sperando che nessuno si ricordasse il suo annuncio di un mese fa: «Non farò comizi,
è a rischio la mia incolumità».
E anche se alla fine risulterà probabilmente decisiva la battaglia di slogan, di promesse, di trucchi e di effetti speciali che fino a venerdì continua su tutti i teleschermi, prepariamoci ai fuochi d’artificio delle ultime piazze. A cominciare dalla Piazza delle Piazze, ovvero la piazza romana di San Giovanni, quel-l’altare laico della sinistra italiana proprio davanti alla Scala Santa, che Grillo vuole sconsacrare portandoci nientemeno che un milione di seguaci, ovvero dieci volte la folla che la riempì per l’ultimo comizio di Palmiro Togliatti, il 3 luglio del 1964. “Oltre centomila persone a San Giovanni” titolò allora nove colonne l’Unità, relegando in basso la notizia della nascita del secondo governo Moro, accompagnata da un gelido commento: “Nenni recidivo”.
Allora non c’erano né share
né sondaggi, bisognava contare la folla dei comizi per misurare la forza di un partito, e dunque era nelle piazze che i leader si sfidavano. Poi naturalmente ognuno la raccontava a modo suo, per chi non c’era. L’Unità era imbattibile. Titolone del 26 maggio 1958: “Il grande comizio di Togliatti a piazza San Giovanni”. Fogliettone basso: “Clamoroso fallimento del comizio democristiano tenuto da Fanfani a piazza del Popolo”. Altri tempi.