Enrico Franceschini, la Repubblica 18/2/2013, 18 febbraio 2013
L’ISLANDA SI SCOPRE MORALISTA MESSO AL BANDO IL PORNO ONLINE
È IL paese dei geyser, dei vulcani, dei vichinghi. È anche il Paese più egualitario del mondo nei rapporti tra uomini e donne, uno dei più liberi sessualmente, l’unico del pianeta con un primo ministro apertamente lesbica. Ma ora l’Islanda sembra sul punto di diventare conosciuta anche per un’altra ragione.
POTREBBE essere l’unico stato del globo “porn free”, senza pornografia su Internet. Dopo che una consultazione nazionale ha dato un responso largamente positivo, il governo di Reykjavik ha avviato un’indagine per decidere come si potrebbe imporre un divieto d’accesso ai siti porno su tutta l’isola. «Siamo una società liberale e progressista in materia di nudità e di rapporti sessuali», dice Halla Gunnarsdottir,
consigliere del ministero degli Interni, che sta seguendo il progetto. «Il nostro approccio al problema non è anti-sesso, bensì anti-violenza. Non è questione di libertà di parola, bensì di danni all’infanzia. Le statistiche indicano che in media un bambino vede pornografia su Internet a 11 anni di età e questo ci preoccupa, così come ci preoccupa la natura sempre più degradante e brutale di quello a cui sono esposti. Non stiamo parlando di censurare l’informazione, ma qualcosa dobbiamo fare».
Un bando al porno online sarebbe in un certo senso l’evoluzione di leggi che l’Islanda ha già approvato, come quella sul divieto di stampare e distribuire pubblicazioni pornografiche, quella sulla chiusura di night-club e topless bar e come le norme sulla prostituzione che criminalizzano il cliente anziché la prostituta. Ma vietare l’accesso ai siti pornografici pone problemi tecnici ed etici non semplici da risolvere. Tra le proposte finora circolate c’è l’introduzione di filtri, il blocco di determinati indirizzi digitali e l’iscrizione a reato dei pagamenti con carta di credito per accedere a siti o canali porno. L’iniziativa mira a restringere la definizione di pornografia,
in modo da non includere tutto il materiale esplicito ma solo quello che può essere descritto come attività sessuali violente o degradanti. Il punto è: chi decide cosa è porno e cosa non lo è, cosa è da vietare e cosa si può permettere? Gli oppositori di
simili misure affermano che si finirebbe per creare automaticamente un censore e questo alla lunga diventerebbe una limitazione della libertà.
Non tutti gli esperti concordano che la pornografia è dannosa. Uno studio del 2009 dell’università
di Montreal, per esempio, ha riscontrato che l’esposizione al porno non cambia la percezione delle donne da parte degli uomini. Altri, come il professor Tim Jones della Worcester University, osservano che il porno su
Internet diffonde «fantasie estreme» e c’è il pericolo che spinga i consumatori a ricrearle nella vita reale. Ci sono rapporti che parlano di una crescente dipendenza dal porno, da quando dilaga sul web. E non c’è dubbio che sia uno dei temi più popolari fra gli internauti: il 25 per cento di tutte le ricerche fatte su Google hanno a che fare con la pornografia, “sesso” è la parola più cliccata online, il 20 per cento dei siti sono pornografici. «Non è che chi guarda il porno su Internet poi esce e commette uno stupro », commenta Gail Dines, docente di sociologia al Wheelock College e autrice di “Pornland:
how porn has hijacked our sexuality” (Pornoland: come il porno ha dirottato la nostra sessualità). «Ma cambia il modo in cui la gente pensa all’intimità, al sesso, alle donne. E un sacco di gente non ha idea di che cosa sia veramente il porno sul web. Se un ragazzino 12nne clicca porno su Google, non trova immagini di donne nude dalla rivista Playboy, bensì filmati estremamente hard in grado di traumatizzarlo nell’età della pubertà».
I critici dell’iniziativa sostengono che un bando è comunque irrealizzabile. Alcuni, come Smari McCharthy, presidente dell’International Modern Media Initiative, dicono che è un’idea «fascista e folle». Ma il governo della piccola Islanda, in questo Paese di appena mezzo milione di abitanti, non desiste: «Siamo progressisti, siamo democratici, crediamo nell’eguaglianza tra i sessi e siamo pronti a essere più radicali di altri». Se comincerà Reykjavik, altri paesi potrebbero seguire il suo esempio, a cominciare, predice l’Observer di Londra, dalla Gran Bretagna. I vichinghi, come sempre nella loro storia, non hanno paura a cercare nuove rotte.