Ennio Carretto, la Lettura (Corriere della Sera) 17/02/2013, 17 febbraio 2013
IL BUON SELVAGGIO E’ UN KILLER. CONFERMO
Può una furiosa controversia scientifica durare quasi mezzo secolo? Sì, a giudicare dal caso Chagnon. Napoleon Chagnon (1938) è uno dei più celebri e discussi antropologi americani. E dal 1968, quando pubblicò un saggio di rottura nella storia dell’antropologia, Yanomamo. The Fierce People («Yanomamo. Il popolo feroce»), sulla primitiva tribù del bacino dell’Amazzonia con cui aveva trascorso quattro anni, gli scienziati e i media americani si sono divisi su di lui e il suo lavoro. Per gli ammiratori Chagnon è uno studioso che ha raddrizzato il corso dell’antropologia. Per i detrattori, tra cui eminenti colleghi, è invece un arrivista che lo ha deviato. Chagnon, che seguì poi la tribù per altri trent’anni, ha appena pubblicato le proprie memorie presso la editrice Simon & Schuster, nella speranza o di regolare i conti in sospeso o di chiudere la controversia. Ma come traspare dal titolo Noble Savages («Nobili selvaggi») e dal sardonico sottotitolo La mia vita tra due tribù pericolose, yanomamo e antropologi, per ora il libro ha solo infiammato di nuovo polemiche che con il tempo potevano sopirsi.
Il caso Chagnon scoppiò quando l’antropologo, nelle sue ricerche sulla tribù che abitava una (sino ad allora) impenetrabile regione amazzonica tra il Venezuela e il Brasile, giunse alla conclusione che non erano stati l’ambiente e la cultura, ma la genetica e la biologia a plasmarne la società e la condotta. Gli yanomamo, un popolo di circa 23 mila persone distribuite in oltre cento villaggi, sostenne Chagnon, avevano un’aggressività innata, diretta non al sostentamento, ma alla procreazione: l’uomo che più uccide è quello che si procura più donne e più figli, per una sorta di selezione naturale. A giudizio dell’antropologo e del suo mentore e compagno nelle ricerche, il genetista James Neel, ex membro della Commissione dell’energia atomica, il mondo violento e vendicativo degli yanomamo era il più vicino a quello originario dell’umanità. A sostegno della tesi, Chagnon addusse filmati di scontri nei villaggi e di crudeli cerimonie tribali con allucinogeni, aggiungendo audio di interviste ai loro protagonisti. E nel libro, che destò clamore e di cui sarebbero state pubblicate varie edizioni, demolì il mito del «buon selvaggio», propagatosi in Occidente dall’Illuminismo in poi.
Ai fautori dell’antropologia culturale, allora dominante, questi yanomamo killer su mandato divino e i loro «ratti delle Sabine» ante litteram non apparvero molto convincenti. Chagnon sembrò ai più un sociobiologo che a torto premiava la genetica e l’evoluzionismo, se non un mistificatore che per vanagloria strumentalizzava un popolo a rischio di estinzione. Contro di lui insorsero anche molti leader tribali, funzionari governativi brasiliani e venezuelani, missionari. Chagnon fu costretto a rettificare il proprio calcolo che il 44 per cento degli yanomamo fossero omicidi: la percentuale, disse, includeva chi aveva ucciso e chi pensava soltanto di avere ucciso tramite la stregoneria. Ma non si arrese mai, e nel corso dei decenni trovò sempre più insigni difensori. Ne ebbe bisogno soprattutto nel 2000, quando Patrick Tierney, un giornalista che aveva denunciato gli esperimenti segreti condotti dalla Commissione dell’energia atomica con sostanze radioattive su ignare cavie umane, lo accusò di avere fomentato insieme a James Neel, deceduto nel frattempo, gli scontri tra i selvaggi e addirittura di avere volutamente causato un’epidemia di morbillo.
L’uscita del libro di Tierney, Darkness in Eldorado («Tenebre nell’Eldorado»), trasformò il caso Chagnon in un giallo. Negli anni successivi, l’Associazione antropologica americana svolse una serie di indagini sull’operato sia dello studioso sia del giornalista. Ma mentre il «j’accuse» di Tierney risultò in prevalenza infondato, soprattutto riguardo alla epidemia di morbillo che aveva fatto molte vittime, il verdetto su Chagnon non fu unanime. Per una parte dell’Associazione, Yanomamo. The Fierce People rimase il resoconto attendibile della vita in una società primordiale, per un’altra una narrazione intesa a convalidare una tesi abbracciata a priori.
Nel 2012 l’Accademia nazionale delle scienze, accogliendolo quale membro, il massimo onore tributabile a uno studioso, ha riabilitato Chagnon. Ma le sue memorie hanno riaperto le vecchie ferite. Nell’introduzione Chagnon non demorde: il passaggio dall’antropologia culturale a quella evolutiva, scrive, è obbligato. Il modo in cui l’umanità è giunta alla società civile e allo Stato di diritto, aggiunge, è spiegabile principalmente con la teoria dell’evoluzione.
Ennio Carretto