Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  febbraio 17 Domenica calendario

JORDAN, IL CAMPIONE DA DIECI MILIARDI DI DOLLARI

Michael Jordan ha conquistato per 6 volte l’anello di campione Nba, sempre con la maglia di Chicago, e in 15 stagioni ha messo insieme una serie di record da far impallidire la concorrenza. Ha giocato contro (e con) campioni del livello di Magic Johnson e Larry Bird ma anche con un coniglio dei cartoni animati, Bugs Bunny, che con la carota in mano gli chiedeva «che succede amico?» mentre inseguito da mostri alieni gli scaricava il pallone della vittoria. Ha annunciato il proprio ritiro per ben tre volte, soltanto la terza è stata quella definitiva, cercando nel baseball e nel golf il senso della competizione che solo la palla a spicchi ha saputo dargli compiutamente. Ha costruito un impero finanziario che ancora oggi, a quasi 10 anni dal suo addio al campo da gioco (ultima partita di 1.251 disputate a Filadelfia il 16 aprile 2003) lo inserisce di diritto nell’elenco dei primi 10 sportivi più ricchi del mondo secondo la rivista «Forbes». Michael Jordan è il più grande giocatore di pallacanestro di tutti i tempi.
«Ogni generazione ha i propri idoli e i propri dualismi. Ai miei tempi c’erano West e Robertson, poi sono arrivati Bird e Magic. Ma quando è comparso Jordan, era chiaro che nessun giocatore avrebbe potuto stargli di fianco, e di gente brava ce n’era eccome: lui è il migliore con tre giri di pista di vantaggio»: lo dichiarò Dan Peterson commentando il suo ritiro, quello definitivo, e nessuno si è mai sognato di contraddirlo. Dice: ma Kobe Bryant e LeBron James non erano ancora arrivati. Vero, come è vero però che nessuno, né prima né dopo, ha avuto l’impatto di MJ sulla pallacanestro mondiale (e sui bilanci della Nike, suo sponsor da sempre), tanto da obbligare David Stern, potentissimo commissioner della Nba, a supplicarlo perché ci ripensasse e non lasciasse la lega. E per non saper né leggere né scrivere, il numero 23 dei Bulls ha scelto l’erede: meglio Kobe di LeBron, ha detto, perché ha vinto di più.
Michael Jeffrey Jordan oggi compie 50 anni. Quarto di cinque figli di James e Doloris Jordan, il piccolo Mike (si fa per dire, crescerà fino a 198 centimetri) non sembrava essere il fenomeno che sarebbe poi diventato: il suo lungimirante allenatore al liceo lo scartò durante una selezione e persino quando arrivò ai Bulls dopo aver conquistato il titolo Ncaa non sembrava essere un fattore decisivo, tanto che a Chicago ammisero candidamente di volerlo scambiare con un centro di peso. Non trovarono nessuno all’altezza, così si tennero quel ragazzo di belle speranze. Fecero bene? Evidentemente sì, considerato che oggi la statua di MJ, palla in mano e gambe divaricate in volo come nel logo delle Air Jordan, le scarpe da basket più vendute di ogni tempo, campeggia davanti all’ingresso Est dello United Center di Chicago, la casa dei Bulls.
Michael Jordan è un brand. La sua maglia numero 23 (sostituita, al rientro dal primo ritiro, per poche partite da un anonimo 45) è stata ispirazione per campioni di altri sport, da Beckham a Materazzi. Le sue immagini con la lingua di fuori mentre vola a canestro sono un’icona dello sport da molto prima che Del Piero scoprisse quanto è bello fare la linguaccia dopo un gol. La rivista «Fortune» ha calcolato in circa 10 miliardi di dollari l’impatto dell’effetto Jordan sull’economia americana dall’84, anno dell’esordio di MJ tra i professionisti, altro che una Finanziaria. E anche se non è stato tutto oro (quando nel ’93 papà James venne ucciso da due rapinatori che volevano rubare la sua auto, vennero a galla i problemi finanziari e la passione per le scommesse di Mike, tanto che ci fu chi scrisse di mafia e di debiti di gioco; lo stesso divorzio dalla moglie Juanita dopo 17 anni di matrimonio costò a MJ 168 milioni di dollari), oggi Jordan è l’unico proprietario di una franchigia Nba, i Charlotte Bobcats, che prima di ogni partita viene avvicinato dai giocatori avversari e salutato come una divinità in terra. Tutti con un credo, praticamente impossibile da realizzare: be like Mike, sii come Mike. Facile a dirsi.
Roberto De Ponti