Fabio Pozzo, La Stampa 17/2/2013, 17 febbraio 2013
Allora è fatta. Soldini. È record. «Sì, è record. Sono felice. Ora la Rotta dell’Oro porta la bandiera italiana
Allora è fatta. Soldini. È record. «Sì, è record. Sono felice. Ora la Rotta dell’Oro porta la bandiera italiana. Ringrazio tutti i miei compagni d’avventura, l’equipaggio che è stato straordinario e i partner: ho realizzato un sogno». Dieci giorni davanti al precedente primato di Yves Parlier, che nel 1998 si era fermato a 57 giorni. Quando ha cominciato a pensare che poteva farcela? «L’ho pensato fin dall’inizio. Diversamente, non l’avrei fatto». Non c’è stato un punto di svolta? «No, perché il problema di quest’impresa è il percorso molto lungo. Può sempre capitare qualcosa che mandi tutto all’aria. Non è solo questione di velocità, ma anche di affidabilità della barca. Se si rompe è finita». I nove giorni da New York all’Equatore non l’hanno sorpreso? «Piacevolmente sorpreso. Siamo andati fortissimo». Scusi se insisto, ma a capo Horn in soli 21 giorni non è stata una svolta? «Mancavano ancora molte miglia al traguardo, come poteva esserlo? Ci sono troppe variabili, rompi una stecca e vai a casa…». Voi avete rotto qualcosa? «Tante piccole cose. Dopo Rio de Janeiro abbiamo rotto 4 stecche della randa e abbiamo usato tutte quelle di riserva. Se non ne hai più, la randa non la tiri su... Ma ci è andata bene, non ne abbiamo più rotte. Abbiamo anche sostituito il carrello di penna, sempre della randa. E poi abbiamo rotto due puntastecche e uno stopper che tiene uno degli stralli… Per fortuna, avevamo sempre materiale di rispetto per sostituirli». Ripercorriamo la corsa sulle onde secondo il meteo, vuole? «Fino a Rio de Janeiro ottime condizioni. Da Rio a Capo Horn vento medio, dunque è stato più difficile. A Capo Horn buone, dopo il Capo poco vento... Per fortuna abbiamo preso un buon vantaggio durante la prima parte dell’impresa. Certo, avrei preferito correre un po’ di più… Ma il Pacifico è così…». Si è stancato molto? «In questo tipo di navigazioni ci si stanca molto, ma si trova poi anche il modo di riposare. In questi ultimi giorni ho sentito soprattutto una stanchezza psicologica. Ti prende quello che gli inglesi chiamano la “febbre della Manica”: finché sei lontano dal traguardo sei tranquillo, quando ti avvicini ti prende l’ansia di arrivare, non ne vedi l’ora». Dicono che queste corse in equipaggio, tiratissime, stanchino di più che le navigazioni in solitario, in cui ci si può prendere i propri tempi… «Lasciamoli dire... In solitario se dormi un’ora è un lusso e qualsiasi imprevisto ti costa tantissimo. In equipaggio è diverso: noi siamo in nove ed è molto meglio». Avete seguito una rotta standard, simile a quella dei precedenti tentativi di record? «No, perché la rotta si adatta al meteo. Noi abbiamo fatto moltissime scelte. Magari a grandi linee la nostra rotta può avvicinarsi a quella di Isabelle Autissier, ma anche no. Lionel Lemonchois con Gitana XIII, ad esempio, dopo Horn è stato tanto sottocosta, mentre noi siamo andati molto fuori per evitare l’alta pressione». Che ci vuole per riuscire? Barca, equipaggio, meteo giusto, fortuna… «Direi una preparazione meticolosa. Se ti dimentichi qualcosa che ti puoi servire sei rovinato. In questo caso siamo stati molto bravi: a tutti gli imprevisti siamo riusciti a dare una risposta. Ciò significa che le scelte che abbiamo fatto, non avendo portato una montagna di materiale di rispetto, sono state giuste. Poi, va anche a fortuna: non puoi avere tutto a bordo e se rompi il pezzo sbagliato….». Che differenze ci sono tra un tentativo di record e una regata oceanica? «Nel record navighi in libertà. Nel senso che puoi permetterti di seguire la rotta ideale per quella meteo. In regata, non sempre accade, perché devi controllare gli avversari». La sua impresa è stata seguita molto anche sui siti, sui social network. Le immagini, i video che avete inviato da bordo sono arrivati nelle case di tutti. Un lavoro notevole... «Bestiale, direi, che mi ha impegnato durante le mie ore di riposo,. quando non ero di guardia al timone. Per fortuna c’era Michele Sighiel che se ne è occupato. E’ stata un’ottima idea avere un mediaman a bordo. Diversamente, non saremmo riusciti a produrre tutto quello che abbiamo inviato…». Vent’anni fa la parte media era ancora pionieristica. «Ma nemmeno dieci anni fa. Giravi immagini che tenevi nella telecamera e che rivedevi all’arrivo… Qui la parte media è fondamentale: bisogna rendere viva l’impresa due, tre quattro volte al giorno minimo. A chi ci segue piace avere l’ultima foto, l’ultimo video, vuole sapere dove sei, che sta accadendo. Devi dare sempre cose nuove. Foto, video, messaggi, tweet». E adesso, che farà? «A luglio faremo la Transpacific, la regata tra Los Angeles e Honolulu». Alla Volvo Ocean Race, il giro del mondo in equipaggio a tappe, che avrebbe voluto fare due anni fa, pensa ancora? «Diciamo che sono abbastanza occupato... Meglio fare una cosa alla volta… Resta comunque il problema di sempre: il budget. Ci vogliono almeno 10-15 milioni di euro, anche con le nuove barche monotipo pensate per le prossime due edizioni». Beh, nel frattempo si è comunque allenato... «Questa corsa da record è sicuramente la tratta più lunga fatta con una barca come la nostra, un Vor 70. Come impegno direi che non c’è male... Abbiamo anche passato capo Horn di bolina, controvento. La Volvo Ocean Race passa col vento in poppa... Comunque sia, noi le idee le abbiamo chiare. Ma è inutile fare voli pindarici... Però, facciamo ugualmente cose che funzionano, importanti, divertenti…».