Leonetta Bentivoglio, la Repubblica 17/2/2013, 17 febbraio 2013
TORINO
È curiosissimo, astuto, camaleontico, desideroso di conferme, iper-prolifico e dichiaratamente ossessivo. Ha uno spiccato senso dell’umorismo e adora i climi caldi. Dunque frequenta spesso i paesi mediterranei, e per qualche mese all’anno abita in Messico. Riesce a coniugare, misteriosamente, un distaccato aplomb britannico a un’indole passionale. Desta sospetti nei puristi della composizione perché possiede un lessico emotivo che aggancia il cuore. Non a caso la sua colonna sonora per il film di Jane Campion
Lezioni di piano,
vincitrice agli Oscar, è arrivata a vendere più di tre milioni di copie. Ma provate a menzionare il suo nome agli integralisti della musica contemporanea: di sicuro storceranno il naso. «Ho sempre avuto un senso di estraneità per certi fondamentalismi », replica Michael Nyman col suo simpatico faccione svagato, da eccentrico testardo o da scienziato genialoide dei cartoni animati.
Da sempre il musicista inglese (il più venduto tra i “classici”, se si vuol prendere per buono quest’attributo applicato a un artista tanto poco ortodosso) appare in grado di rigenerarsi di continuo, mischiando codici, percorsi ed etichette. Nato a Londra nel 1944, e attivo dagli anni Sessanta, non ha mai smesso di muoversi in bilico tra i linguaggi, e d’inventare osservazioni “parallele” della vita, a partire dalla scrittura musicale ma non soltanto. Non firma infatti solo partiture (per concerti sinfonici,
musica da camera, balletti e opere dedicate a personaggi storici e mitici) e celebrati soundtrack per registi quali Peter Greenaway, Neil Jordan, Michael Winterbottom oltre alla Campion. Nyman dirige orchestre, suona come pianista, viaggia in diversi continenti con la sua band, pubblica libri musicologici, crea sfondi sonori per le sfilate di Yamamoto e per i computer-game, incide dischi che intrecciano al suo sound sofisticato i colori arabeggianti di un gruppo andaluso-marocchino, realizza suite basate sulle poesie di Paul Celan e plasma canzoni per il cantante pop David McAlmont, una star nel Regno Unito. È raffinato e commerciale, elitario e pop. Piace agli amanti del rock e ai cultori della lirica. Ma essendo avido di esperienze e incontentabile, persegue con furia il confronto con territori nuovi: negli ultimi tempi s’è trasformato in fotografo e film-maker. Lo ha testimoniato la sua bella mostra di video e foto
Sublime(
è anche il titolo di un suo libro fotografico: visioni di gesti, volti e paesaggi, raccolte in vari luoghi del pianeta), presentata al Museo di scienzenaturalidiTorino,doves’èsvolto il nostro incontro. In tale occasione, Nyman ha tenuto una
lectio magistralis
sulla sua eclettica dimensione artistica, e ha proposto una sfaccettata esibizione (concerto di video e pianoforte, e anche di musica e danza col coreografo Matteo Levaggi) nello spazio “Lavanderia a Vapore” di Collegno.
Chi ammira la sua fame di totalità, che può avere esiti musicali irresistibili, almeno a livello sensoriale (grazie all’uso insinuante dell’iterazione, alla capacità evocativa così adatta al cinema, al citazionismo di tradizioni classiche e antiche, all’assorbimento ben dosato di materiali popolari), lo considera una specie di versatile “uomo rinascimentale” e un attraente emblema del pluralismo culturale del nostro tempo. A cominciare dalle sue origini miste. «Io non sono figlio di genitori musicisti. La famiglia di mio padre era polacca, quella di mia madre era di origine spagnola. Forse per questo sono stato sedotto sempre dai suoni del Sud. Ho ricevuto un’educazione piuttosto convenzionale a Londra, ma sono stato fortunato nel trovare un maestro, alle elementari, che ha percepito il mio talento musicale e lo ha incoraggiato. Dopo il liceo ho studiato alla Royal Academy of Music di Londra, il che mi ha permesso di coltivare il mio interesse per la musica barocca
e di approfondire la scrittura contrappuntistica. Quando, negli anni Sessanta, ho concluso i miei studi, il panorama europeo era dominato dalla Scuola di Darmstadt e da autori come Boulez e Stockhausen, esponenti accreditati di un approccio alla creazione troppo rigido per i miei gusti. Ho scelto quindi di lasciare la composizione e di mettermi a scrivere articoli e saggi. Sono stato io a coniare, nel 1968, il termine “minimalismo”, riferendolo alla musica di Steve Reich e di Philip Glass. E nel ’74 uscì un mio libro dedicato all’estetica di John Cage».
Ma la vocazione di compositore lo riacchiappa in fretta, spingendolo fin dal principio a lavorare all’insegna del mix linguistico, del gioco a rimpiattino con epoche e stili, della rottura di barriere tra colto e
popular:
«A fine anni Settanta, quando mi venne commissionato l’arrangiamento di alcune canzoni veneziane del Diciottesimo secolo per un allestimento londinese de
Il Campiello
di Goldoni, organizzai un ensemble incredibilmente rumoroso
di strumenti anche medioevali: includeva ribecche, tromboni, ciannamelle, banjo, grancassa, sassofono soprano… Nacque così la Campiello Band, che poi sarebbe diventata la Michael Nyman Band. Per quel gruppo scrissi il mio primo pezzo,
In Re Don Giovanni,
che partiva dall’aria
Il catalogo è questo
dell’opera mozartiana. Trasformare quell’aria, per me, significava metterla in un altro contesto per ricostruirla. Ogni volta che prendo qualcosa da un musicista del passato, il materiale specifico mi spinge in una direzione nuova: mi servo di un’armonia, di una linea di base, per portarla a suggerire il mio ritmo e la mia melodia. Per il film
Lezioni di piano
ho usato brani del folclore scozzese facendone arrangiamenti molto semplici. Eppure, tuffate nel contesto della mia musica, hanno acquisito una risonanza emotiva più forte degli originali. Allo stesso modo ho utilizzato musiche preesistenti, quelle di Purcell, per comporre la colonna sonora del film
I misteri del giardino di Compton House,
che è stata la mia prima collaborazione con Greenaway, con cui ho fatto ben undici titoli tra il ’76 e il ’91. Sono stati i suoi film a farmi conoscere al grande pubblico».
Il rapporto con il cinema segna profondamente la produzione di Nyman, su diversi versanti creativi. Nell’autunno scorso, per esempio, ha presentato con la sua band, in prima assoluta alla Symphony Hall di Birmingham, una nuova sonorizzazione energica e intensa del film muto
La Corazzata Potëmkin
di Eisenstein. Michael, per comporla, spiega di aver «reagito musicalmente a certe scene iconiche del film, che a tutt’oggi risultano impressionanti, dalla battaglia di classe sulla nave fino alla sequenza sulla scalinata di Odessa». C’è poi l’impresa di
Cine Opera
(di cui a Torino è stata offerta una selezione) che gli ha regalato soddisfazioni inedite, facendo di lui «un regista involontario e un collezionista di immagini», afferma. «Si tratta di una serie di video che ho girato io stesso, senz’alcuna troupe, in diverse parti del mondo negli ultimi quindici anni, registrando avvenimenti spontanei e piccole storie di quotidianità in paesi e culture differenti. Non faccio script né uso attori: le cose accadono e io le filmo, per poi montare i frammenti accumulati accompagnandone l’assemblaggio con mie colonne sonore influenzate dai suoni dei posti in cui ho realizzato le riprese. Dalle persone che vanno a lavorare
in treno la mattina presto fino ai musicisti ambulanti, da un ubriaco all’alba fino a certe prospettive di vecchi edifici cadenti a Città del Messico, cerco uno sguardo “altro” sulla vita e inseguo l’inaspettato dietro l’angolo. Non sono un documentarista né un voyeur. Punto all’ordinarietà dell’esistenza, ma dimostrando che, tramite un occhio particolare, una situazione apparentemente normale può diventare bizzarra o romantica». Confessa che adesso trascorre più tempo a fare cinema di quanto ne impieghi a scrivere musica: «Ho al mio attivo una settantina di questi minuscoli film d’autore, e ho partecipato anche a prestigiosi festival cinematografici, da Torino a Toronto ». Oggi Michael Nyman, a dispetto dell’età, insiste nell’esplorare il mondo come un artista zingaro, diviso tra Londra, il Messico e molte tournée. Padre di due figlie, è già diventato nonno per tre volte, dato che Martha, che è la sua seconda, ha avuto tre bambini. Intanto la maggiore, Molly, ha seguito le orme paterne componendo colonne sonore, e in particolare ha scritto la musica per il film di Winterbottom
Un cuore grande.
Ma del nonnino non ha proprio nulla, questo ragazzo senza tempo ostinato e occhialuto che s’agita in un fermento perpetuo, ora annunciando una nuova opera votata al genio di Leonardo, ora pensando a futuri lavori teatrali basati su romanzi di Laurence Sterne e di Alejo Carpentier. Ha un entusiasmo che sfinisce persino chi l’ascolta parlare, figuriamoci come si sente lui. «Per l’anno prossimo, in occasione del mio settantesimo compleanno, ho in preparazione un buon numero di lavori sinfonici».