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 2013  febbraio 15 Venerdì calendario

MADAME GODARD – QUANDO JEAN-LUC IMPAZZÌ PER ME, BORGHESISSIMA BAMBINA


PARIGI. Tutto iniziò nell’estate del 1966 quando Anne Wiazemsky, 19enne di buona famiglia – figlia di un principe russo e nipote del Nobel per la Letteratura François Mauriac, cattolicissimo campione di dirittura morale – un giorno vide al cinema Il maschio e la femmina di quel sovversivo sulfureo che era allora Jean-Luc Godard. I due si erano incrociati due o tre volte, niente più. Eppure Anne si convinse, «per motivi tuttora inspiegabili» (parole sue), che quel film era un messaggio indirizzato a lei. E, con l’irruenza avventata dell’adolescenza, gli scrisse una lettera: amava quella pellicola e amava Godard. Quindi, da Parigi, andò nel Sud della Francia a preparare gli esami di riparazione della maturità.
Lasciando il pover’uomo in un subbuglio febbrile. Un 36enne divorziato e di mondo, provocato da una maliziosa liceale minorenne (la maggiore età era allora a 21 anni): difficile resistere a quel visetto imbronciato e intrigante, tutto malia e ingenuità. L’autore di Fino all’ultimo respiro sì dannò per rintracciarla. Telefonate, aereo, auto a nolo: la raggiunse in quel paesino del Sud e per un giorno la divorò con gli occhi. Le piace Mozart? Quali sono i suoi scrittori preferiti? «Al momento dell’addio, mi prese tra le braccia», racconta Anne. «Mormorava che lasciarmi gli faceva troppo male, che non riusciva più a immaginare la vita senza di me, che che che...» Il tutto dandole del lei. Tre giorni e una pioggia di telegrammi dopo era di nuovo lì, a confessarle di essere pazzo di lei da mesi: da quando aveva visto una sua foto sul set di Au hasard Balthazar di Robert Bresson, il film del suo recente debutto nel cinema.
Inizia così Un anno cruciale di Anne Wiazemsky, in uscita in Italia con le edizioni e/o: la storia del primo anno d’amore tra la bella studentessa e il guru della Nouvelle Vague, che si concluse con le riprese del film La Cinese (Anne protagonista), la persecuzione dei paparazzi e un matrimonio lampo, senza famiglia e abito da sposa, in cui il sindaco officiante, dall’occhio lungo, si lasciò scappare: «Alla prossima, Monsieur Godard». Il racconto di un anno magico e complesso: «Un percorso d’iniziazione, che ha sovvertito la mia vita», racconta oggi Anne Wiazemsky. «Fu allora che iniziai la mia battaglia d’emancipazione da una madre borghese e perbenista, per scoprire il fascino che su di me avrebbero sempre esercitato gli artisti d’avanguardia». Un cataclisma personale sullo sfondo di una rivoluzione giovanile che, alla vigilia del Sessantotto, iniziava a travolgere il vecchio mondo in una raffica di libertà.
Oggi Madame Godard, tornata a essere Madame Wiazemsky, vive sola nel cuore di Parigi. Nei cinque anni del suo matrimonio ha girato sei film con Godard. In venti di carriera, ninfa del cinema impegnato, ha lavorato con Pasolini (Teorema e Porcile), Ferreri (Il seme dell’uomo), Carmelo Bene (Capricci)... Per poi abbandonare per sempre i set: «In realtà è stato il cinema ad abbandonare me, ero sempre più disoccupata». E iniziare a scrivere: ricordi di vita vissuta che lei chiama romanzi, «perché la memoria seleziona e inventa».
Esile, senza un filo di trucco, vestita in jeans e maglione, Anne Wiazemsky sembra ancora una ragazza. Ma quel broncio che ha fatto sognare registi, spasimanti e mentori, sembra ormai introiettato in un malumore verso il mondo: timida e spinosa, reticente ed elusiva, lei a voce non si svela. Quel che ha da dire è sulla pagina, il resto è off limits. Eppure il tono è gentile, come a scusarsi di non riuscire a raccontare di più. Ed è quel che ti trattiene dall’irritarti più di tanto. Come ha preso Godard l’uscita del suo libro? «Non ne ho la più pallida idea». Avete rotto i rapporti? «Un giorno, non ricordo quando, ha detto di non volermi vedere mai più». Frattura burrascosa? «Questo non c’entra con il tema del libro».
Okay, torniamo al testo. Godard la travolse d’attenzioni, baci, sorprese, telefonate, doni (perfino una spider, benché non avesse la patente): più lei era impacciata, più lui si infiammava. Avevano 17 anni di differenza: lei prendeva ripetizioni di filosofia, lui girava due film contemporaneamente; lei dava gli esami di riparazione e lui era così preoccupato che, benché ateo, andò ad accendere un cero nella chiesa di Saint-Germain-des-Prés. Come reagì, Anne, all’ardore di un adulto così celebre? «Mi sembrava del tutto ovvio. Anche Bresson si era interessato a me». E di lei si era anche innamorato? «Nel cinema non c’è bisogno di andare a letto con i propri attori per amarli». Mi racconta di quel suo primo film? «Ci ho scritto un romanzo, Jeune Fille». Il libro ricostruisce il rapporto ambiguo di Bresson verso la sua protagonista: seduzione e dominio, dolcezza e ferocia. Un profilo sorprendente dell’anziano regista.
Come inedito è, in Un anno cruciale, il ritratto di Godard: duro e autoritario sul set, si trasformava in un amante dolce e romantico, generoso e poetico. «Sapeva essere odioso e stupendo», commenta laconica Anne. Provocatorio e sicuro di sé nella vita pubblica, diventava in privato fragile, possessivo, geloso fino alle lacrime. «Sono le contraddizioni a rendere le persone affascinanti». Ma va? Giovinezza e freschezza di Anne esercitavano un potere immenso su Godard. Ma l’egemonia intellettuale era del regista Pigmalione, che le impartiva buone letture e le svelava l’incantesimo del cinema di Murnau, Rossellini, Rohmer. «Ero un’allieva malleabile: adoro avere maestri».
Intanto Jean-Luc la presenta con orgoglio a Truffaut, Bertolucci, Jeanne Moreau, Béjart... Anne si sentiva a suo agio tra tante celebrità? «Del tutto. Quel nonno Nobel mi aveva abituato alle star».
Francois Mauriac, figura carismatica che sovrasta la vita dei Wazemsky. Con collere violente e grandiose generosità:
da che il padre di Anne era morto di tumore, nel ’62, era stato lui il capo famiglia. Con il suo cattolicesimo intransigente («quando persi la fede, si fece in quattro, inutilmente, per riportarmi sulla retta via») e con le sue aperture di uomo illuminato: mentre la costumata madre di Anne fece fuoco e fiamme contro il trasgressivo Godard, il nonno andò a vedere i suoi film e si divertì all’idea di imparentarsi con il satanico regista, infischiandosene delle lettere anonime infamanti. Come descrivere quel nonno imponente? «Non posso riassumerlo in una formula». Del giorno in cui vinse il Nobel cosa ricorda? «Troppo lungo da raccontare». Forse è stato faticoso sentirsi tutta la vita la nipote di Mauriac, la figlia del principe Wiazemsky, la moglie di Godard, l’attrice di mille mostri sacri. E anche la sorella di Wiaz (nome d’arte), noto illustratore del Nouvel Observateur. Eppure Anne è al tredicesimo romanzo, con buone recensioni...
E della sua vita avrebbe ancora molto da raccontare. Ha studiato all’università con Daniel Cohn-Bendit, futuro leader del Maggio francese. «In realtà non mi resi conto che stava montando una rivoluzione studentesca: era Jean-Luc, più attento di me, a chiedermi di portare a casa volantini che neanche leggevo. Lui si avvicinava sempre più al marxismo, ma io non partecipavo alla sua passione politica». Cosa ha voluto dire il Sessantotto accanto a Godard, uno dei suoi grandi protagonisti? «Questo non c’entra con il tema del libro». Speriamo che costituisca l’argomento del prossimo. Anne Wiazemsky racconta per iscritto. La comunicazione orale non fa per lei.