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 2013  febbraio 15 Venerdì calendario

CHIAMI IL CALL CENTER E TI LEGGONO NEL PENSIERO


CHICAGO. A chi perde facilmente la calma al telefono con l’ennesima, frustrantissima assistenza clienti, un consiglio spassionato: risparmiatevi i «Lei non sa chi so no io». Non fate bella figura, ma soprattutto è inutile. Se vi trattano come vi trattano è proprio perché lo sanno sin troppo bene. Conoscono quanto valete, commercialmente parlando, e ciò incide sui vostri tempi di attesa. E che tipi siete, dal punto di vista psicologico, gliel’ha rivelato il software che ha registrato e analizzato le vostre chiamate precedenti.
In teoria l’operatore con cui state di sentendo è quello meglio in grado di gestirvi. In meno di mezzo secondo da quando avete maturato il diritto di parlare con un interlocutore umano, l’algoritmo ha riconosciuto il vostro numero, gli ha associato una personalità, e vi ha dirottato verso l’agente con il temperamento più compatibile. Forse non sapevate di essere un carattere dogmatico, che presume di poter insegnare a tutti some si fanno le cose e non si arrende nemmeno davanti all’evidenza. Al call center, alla sua memoria informatica, era invece chiarissimo ed è per questo ce vi hanno riservato uno specialista di casi difficili. Quindi niente escandescenze: senza l’accoppiamento elettronico vi sarebbe andata peggio.
Questo almeno è ciò che sostengono alla Mattersight (ex eLoyalty), l’azienda di Chicago che ha investito 75 milioni di dollari per creare questo programma e convinto quattro delle sei principali assicurazioni sanitarie, oltre a una quantità di banche e compagnie telefoniche, a usarli. Il motivo per cui questi grossi nomi preferiscono restare anonimi, benché siano entusiasti dei risultati (telefonate più brevi e soluzioni più frequenti significa risparmi nell’ordine del 20 percento), è che temono di spaventare i clienti. I quali, come succede da noi, sanno che «la chiamata può essere registrata al fine di migliorare la qualità del servizio». Ma ignorano che possa anche essere passata al setaccio da due milioni di diversi tipi di codice che desumono, dalla scelta delle parole e dalla costruzione delle frasi, che tipo umano appartengano.
«È ancora considerata un’ammissione rischiosa per l’immagine aziendale» concede il vicepresidente della compagnia David Gustafson, «ma lei, tra una chiamata che dura la metà del tempo e arriva a una soluzione e una che lo raddoppia e spesso non porta da nessuna parte, quale preferirebbe?». Non è un esempio a caso, quanto il risultato di un test di qualche anno fa su 1500 clienti Vodafone in Gran Bretagna. Applicando il programma nel 92 per cento dei casi si arrivava a una soluzione in 5 minuti. Invece, senza, ce ne volevano una decina, con un tasso di successo del 47 per cento. Calcolando che At&t da sola spende ogni anno 4 miliardi di dollari per i suoi 100 mila operatori, si tratterebbe di un risparmio colossale. Eppure il fattore Grande Fratello esiste. Evidentemente, anche se Gmail «legge» da anni la corrispondenza dei suoi 425 milioni di utenti, fa più impressione quando l’algoritmo «ascolta» le nostre telefonate.
Un’attitudine che cambierà presto, assicura il vichingo Gustafson. A settimane, per il lancio del loro nuovo sito, varie compagnie hanno promesso un coming out. Il manager, una laurea tra informatica, matematica e finanza, addebita alla crisi generale la diffusione ancora limitata (40 mila operatori sui 4 milioni totali negli Stati Uniti) del loro prodotto: «È un momento di tagli più che di investimenti. Ma nell’interazione telefonica risiede la più preziosa fonte di dati cui un’azienda potrebbe aspirare. Per sapere chi è il proprio cliente, cosa vuole e come reagirà se non lo ottiene. Chi lo ascolta attentamente non lo perde, fa più vendite e risparmia anche sui focus group». Non potrebbe farlo (meglio) lo stesso operatore che ha preso la chiamata? «Potenzialmente sì. Ma un questionario, anche minimo, prende decine di secondi. Aggiungete che la conversazione può andare male per colpa dell’operatore, che tenderà a non ammetterlo. E se fosse un uomo a redigere un rapporto dettagliato come quello dell’algoritmo, il costo sarebbe proibitivo». Il software invece è rapido, anziché scoraggiarsi dà il meglio nei compiti ripetitivi e procede ad libitum senza straordinari. In media la Mattersight chiede un canone di 175 dollari al mese per postazione, poca cosa rispetto alla media di 50 mila dollari all’anno dell’operatore. Il prezzo comprende l’installazione della macchina che catturerà la conversazione e la spedirà al datacenter. Nella «nuvola» informatica i programmi la analizzeranno e ne ricaveranno l’intelligence alla quale l’azienda potrà accedere come fosse una normale casella di posta elettronica. L’interfaccia mostrerà la durata totale della chiamata. I punti critici in cui i vocaboli hanno denunciato un picco di stress o una minaccia (parole chiave: avvocato, causa, fuck e così via). O i tempi morti in cerca di una soluzione, monitorando orwellianamente anche la produttività del dipendente.
Soprattutto effettuerà, in quei pochi minuti, una perizia psichiatrica stupefacentemente accurata. Il cui metodo risale all’esigenza della Nasa, dopo il pericolo scampato dall’Apollo 13, di valutare nel modo più scientifico possibile la compatibilità tra gli astronauti per il buon esito delle missioni. Fu lo psicologo Taibi Kahler a concepire il Process communication model che, attraverso 10-15 minuti di ascolto dei candidati esploratori, era in grado di decifrare la prevalenza in loro di sei tipi di personalità: emotiva, razionale, reattiva, dogmatica, riflessiva e proattiva. E assortire gli equipaggi tenendo conto di queste compatibilità (nel ‘92 Kahler allenò anche il candidato Bill Clinton a «leggere» ed entrare in empatia con gli interlocutori nei dibattiti). Hedges Capers era il suo allievo prediletto e per un periodo lavorò come consulente nell’azienda telefonica guidata da Kelly Conway, futuro fondatore di Mattersight. Così, quando nel 2000 la compagnia di consulenza per call center che dirigeva cominciò a perdere clienti per la concorrenza selvaggia di chi delocalizzava all’estero, Conway si ricordò dello scienziato. Avevano davanti un’industria enorme, la terza per numero di addetti, con un tasso di innovazione bassissimo. Invece di cercare la redditività nei risparmi, facendo rispondere a indiani o filippini, Conway decise di tirarla fuori dal tesoro di informazioni nascoste nelle telefonate («categorizzeremo la lingua umana!»). Era il 2005 quando la eLoyalty riuscì ad automatizzare il Pcm, la tecnica di Kahler e Capers. Un miliardo di chiamate dopo, tutte immagazzinate sui propri server per oltre un petabyte di informazioni (1000 terabyte, ovvero quasi centomila volte tutti i testi di Wikipedia), la tassonomia delle sei personalità è ancora alla base dell’abbinamento ottimale chiamante-operatore. Di recente applicata anche per analizzare le email clienti-aziende e per abbinare le potenziali matricole universitarie al tutor caratterialmente più indicato.
Spiega Gustafson: «Il tipo emotivo, in cui si riconoscono il 30 per cento della popolazione e i due terzi delle donne, vuole "legare" prima di chiedere. Dice: "Mi spiace disturbarvi, ma sono veramente in difficoltà e forse lei può aiutarmi". Se lo si fa interagire con un soggetto analogo questi risponderà qualcosa come: "Sono felice che ci abbia chiamato, deve essere stato davvero un enorme fastidio per lei"». A quel punto la conversazione è incardinata sul binario giusto. «I razionali, un quarto delle persone, pretendono fatti e risposte concrete. Se li accoppi con un emotivo che si dilunga in preliminari, perdono la pazienza. I reattivi sono manichei: o amano o odiano. I dogmatici non li convincerai mai che hanno torto. Si dovrà dire: "Ha ragione ma..."».
Non ci sono tipi giusti o sbagliati. Alcuni si incastrano bene, altri no. Vale quel che Vinicius de Moraes diceva della vita: l’arte dell’incontro. Il software dà un aiutino. Grande, come ha capito anche l’italiana Almawave. «Il nostro Iride» spiega l’amministratrice delegata Valeria Sandei «ha algoritmi semantici che analizzano la frequenza vocale e il testo della conversazione per capire, in tempo reale, le vere esigenze di chi chiama e suggerire all’operatore la migliore risposta». Una specie di macchina della verità a servizio di call center avanzati, che però la Almawave vende essenzialmente all’estero: «In Brasile, dove siamo gli italiani che danno più lavoro dopo la Fiat, la legislazione obbliga alla registrazione integrale delle chiamate a tutela del consumatore». Da noi invece, spiega il Garante per la privacy, ci vorrebbe un suo chiaro e documentabile assenso preventivo. «Nel 2009» ricorda il portavoce «ci siamo accorti che le compagnie telefoniche, senza alcun permesso, raccoglievano informazioni sui propri clienti suddividendoli in fasce (argento, oro, etc) per poi calibrare la qualità del servizio. Non dovrebbe succedere, ma succede». In America lo fanno da anni senza che nessun cliente sia stato avvisato. Se capitasse in Italia, chi lo scoprirebbe? La prossima volta che chiamate un numero verde, dite una cosa gentile: se non per l’operatore, fatelo per evitare la condanna digitale al girone degli iracondi.