A. Laf., Corriere della Sera 15/2/2013, 15 febbraio 2013
QUEL TOCCO DI FOLLIA NELLA SFIDA DI RUBINO SULLA COPPIA GAY
C’ è un tocco di follia in Renzo Rubino, uno dei giovani che oggi si gioca la finale, quello che in «Postino (amami uomo)» racconta di un amore gay. Senza i sensazionalismi alla Povia ma senza essere politically correct, senza i sentimentalismi della Tatangelo ma senza volgarità, ci porta in una storia fra due uomini piena di fisicità di mani che stringono e toccano. Senza volersi trasformare in una bandiera della battaglia per i diritti degli omosessuali, Renzo ammette che il suo scopo è «far star bene qualcuno per 3 minuti e 40 secondi». Ha fatto teatro, e si vede. La sua capacità di tenere il palco e la trovata del tenore sul finale dell’esibizione gli hanno dato una marcia in più. La follia non sta solo nel rischiare di essere travolto dalle polemiche («Non ci ho pensato, sentivo l’esigenza di raccontare una storia vera d’amore che mi è passata vicina»), ma nel suo approccio. Ci vuole coraggio a presentarsi a un concerto di Al Bano fingendosi il gruppo spalla, quanto ce ne vuole per affrontare la sala stampa di Sanremo armato di tastiera e rispondere con le canzoni più che con le parole. La gavetta la ricorda infilando i brani (Pausini, Bocelli e Turandot) che una spogliarellista dello strip club
dove ha lavorato qualche mese gli faceva suonare per accompagnare la sua esibizione. Con buona pace
di Ugo, il cactus che si è portato in valigia.