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 2013  febbraio 15 Venerdì calendario

CON LA “LECTIO MAGISTRALIS” COMPOSTA ATTORNO A UN DO ELIO

& C. DIVENTANO UN CASO [Da Jovanotti a Morandi tutti entusiasti] –
Scomodare i monumenti è sempre rischioso, è vero, ma per immaginare una comparabile ideale standing ovation di stupore come quella tributata al colpo di genio di Elio e le Storie Tese (su Twitter da Morandi a Jovanotti è stato tutto un fiorire di complimenti) bisogna tornare indietro a 55 anni fa, sempre a Sanremo, quando Modugno sorprese l’Italia con l’abbraccio di “Volare”. E gli Elii lo sapevano, perché a fare molta attenzione ci si accorge che con una certa subliminale scaltrezza, l’intro strumentale è praticamente identica. Certo, La canzone mononota non farà il giro del mondo, non diventerà l’unico vero inno italiano condiviso da tutti, e se per questo magari non vincerà neanche il festival (a meno che...), ma ha lo stesso scandaloso potere dell’intelligenza che si fonde al massimo godimento popolare.
Non sarà un caso che l’evento si sia consumato in un festival che ha decisamente virato verso il decoro e la qualità delle canzoni. Fa uno strano e piacevole effetto vedere su quel palco gli alieni Almamegretta, e anche godere di una qualità media sostanzialmente alta con Malika Ayane, Silvestri, Gualazzi, e gli altri. Ma di sicuro Elio ha portato qualcosa d’inimmaginabile.
La canzone mononota dietro l’irresistibile comicità dell’ostinata nota (per l’esattezza un Do) è una strutturata e densissima lezione. A partire dalla relazione tra note, o sequenze di note che fanno una melodia, e l’armonia, che è una sequenza di accordi. Sotto una nota, soprattutto se fissa, gli accordi possono mutare con molta libertà, e infatti nella canzone accade proprio questo, possono cambiare l’arrangiamento, il ritmo, la velocità, e infatti succede. Non vale il paragone che è stato fatto con la celentanesca Mondo in mi 7.
Lì era esattamente l’opposto. Era un monoaccordo, mentre la voce andava libera dove voleva.
Valgono invece i precedenti che indica la canzone, così che c’è anche un po’ di storia. Elio cita Rossini, Bob Dylan e Tintarella di luna, effettivamente quasi “mononota”, ma non del tutto, e nella chiosa finale anche Jobim che sul tema ci aveva fatto il titolo Samba de una nota so, che potrebbe essere tradotto come “samba mononota”, ma valeva solo per l’inciso, perché il ritornello svirgolava su molte note, e infatti canta Elio: «Jobim non ha avuto le palle di perseguire un obiettivo». E di fronte a un risultato così straordinario si perdona anche il blasfemo sfottò al genio brasiliano. Al massimo della raffinatezza, nella parte finale della canzone, se proprio si deve fare un compromesso, la nota si sposta, ma lo fa di un semitono e quindi alla lettera non cambia nota (anche se a cavillare, spostandosi in basso verrebbe un Do bemolle, che non è altro che un Si). Altro tratto che la rende “lezione” è che si tratta di una metacanzone, totalmente autoreferenziale, in fin dei conti parla solo e unicamente di se stessa, e anche su questo ci sono illustri precedenti (da Halleujahdi Leonard Cohen a Killing me softly), ma parziali. In tutto lo svolgimento del pezzo accade esattamente quello che indica il testo, compresi i cambi di atmosfera, di cantante, di lingua e i passaggi in maggiore, minore, eccedente e diminuita (che sono diversi accordi). Ma ciò che davvero conta è che la somma di informazioni è sublimata in un trionfo spettacolare. Si può anche non sapere o non voler sapere tutto questo, si può liberamente godere di questo fuoco pirotecnico che nobilita il palco di Sanremo come non accadeva da tempo immemore. Peccato per gli altri concorrenti, pur bravi, che inevitabilmente di fronte alla lectio magistralis scadono verso il basso. Non sarà Nel blu dipinto di blu, ma di sicuro è riuscita a imporre il protagonismo della musica, in un festival che di solito deve aggrapparsi, per vincere, a tutto fuorché a questo.