Ettore Bianchi, ItaliaOggi 14/2/2013, 14 febbraio 2013
SERBIA: PEGGIO CHE CON MILOSEVIC
[Molti hanno deciso di emigrare e puntano sul Canada] –
In Serbia non sono in pochi a rimpiangere gli anni dell’ex presidente nazionalista Slobodan Milosevic, al potere fino al 2000 e scomparso nel 2006. Il paese si trova in una grave crisi economica: inflazione, recessione e mancanza di lavoro sono le piaghe da cui Belgrado non riesce a liberarsi. E questo nonostante l’anno scorso il paese abbia ottenuto lo status di candidato all’ingresso nell’Unione europea.
A mettere in ginocchio la Serbia è stata la crisi degli ultimi anni.
Un economista disilluso sostiene che si credeva di poter ripartire, ma ciò non è avvenuto. Invece di riemergere si sprofonda. Un’analisi impietosa. I consumi interni non danno segni di vita e un’intera nazione si sta impoverendo sempre più. Se si sta meno peggio nella capitale, dove ogni fine settimana croati e sloveni invadono bar e ristoranti, nel sud del paese la situazione è ben più grave. Qui il tenore di vita è pari a poco più di un terzo di quello medio nella Ue rispetto al 96% della vicina Slovenia. Ma oggigiorno il sogno di unirsi a Bruxelles, tanto decantato negli anni scorsi, lascia alquanto indifferenti i cittadini.
Nel frattempo la moneta unica si estende sempre più negli scambi quotidiani e ha superato la valuta locale, il dinaro. Gli affitti si pagano in euro. Invece gli stipendi, che spesso arrivano con qualche mese di ritardo, vengono corrisposti in dinari, che non sono indicizzati alla moneta del continente. Non appena il dinaro fluttua, sono in agguato brutte sorprese. Qualche anno fa circa 30 mila persone si erano indebitate in euro o in franchi svizzeri per comprare un’automobile o un appartamento: ora sono sommerse dai debiti.
Nel 2012 il pil è sceso del 2% e la disoccupazione ha colpito un quarto della popolazione attiva e un giovane su due. Proprio il 70% dei giovani, stando a un recente sondaggio, vuole emigrare in Canada o in Australia nonostante l’amore per la patria. Non di rado si sente il ritornello: è peggio che negli anni di Milosevic. La Serbia è rimasta essenzialmente a vocazione agricola. Non ci sono infrastrutture e gli investitori stranieri stanno alla larga. Una delle poche eccezioni è Fiat, che vi ha installato un impianto produttivo.
Gli osservatori dicono che la burocrazia scoraggia tutti quanti e i politici non hanno una visione d’insieme. C’è chi punta il dito contro il monopolio delle reti distributive creato dai grandi gruppi, che contribuisce all’innalzamento dei prezzi. Così frutta e verdura sono diventate inaccessibili per chi intasca uno stipendio medio, pari a 450 euro al mese. Al mercato Bajloni di Belgrado le mele si vendono a un euro al chilo e le patate a 70 centesimi.
L’inflazione è intorno al 13%. Per molti un chilo di patate è ormai un sogno. Si calcola che l’80% della popolazione viva peggio rispetto a cinque anni fa. E l’economia grigia prospera, arrivando a coprire un terzo del pil. C’è chi ufficialmente guadagna 150 euro al mese, mentre si mette in tasca altri 450 euro in nero. È vietato protestare per non finire in mezzo alla strada. Ma anche questo è un modo per sfuggire alla fame e alla povertà.