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 2013  febbraio 15 Venerdì calendario

L’AMERICANO CHE AIUTÒ A FUGGIRE CHAGALL E BRETON

[Inviato in Francia nel 1940, riuscì a mettere in salvo 2.000 ebrei. Tra loro, molti grandi artisti e intellettuali. Le sue memorie ora escono in Italia] –
«L’Europa è diventata ben strana, se uomini come quelli sono ridotti ad attendere pazientemente nell’anticamera di un giovane americano senza la minima importanza», scriveva Varian Fry alla moglie. Fry (1907-1967), giornalista ed editore americano, primo cittadino statunitense a comparire nella lista dei Giusti e insignito della Legion d’Onore francese, salvò più di duemila ebrei dalla deportazione, organizzandone la fuga in Usa attraverso la Spagna e il Portogallo. Nell’ufficio improvvisato nella sua camera dell’Hotel Splendide di Marsiglia sfilava una coda interminabile di rifugiati, in fuga per motivi razziali o politici. Varian conosceva la ferocia nazista. Nel 1935, a Berlino, aveva assistito a un pogrom e aveva visto, in un caffè, un membro delle Sa piantare un coltello nella mano di un avventore dall’aria ebraica che tendeva la mano verso una birra.
Tra la folla impaurita c’erano quelli che Fry era stato inviato a salvare: i geni che dovevano lasciare la Francia per sfuggire alla Gestapo e all’Ovra. In quel 1940 la Francia sconfitta del maresciallo Pétain e la Germania di Hitler avevano stipulato un patto che includeva la consegna su richiesta della folla di irregolari che si era riversata sulla Costa Azzurra alla ricerca di una via di scampo. Per contrastarla e mettere in salvo i perseguitati era nata negli Stati Uniti, con l’appoggio della moglie del presidente, Eleanor Roosevelt, l’Emergency Rescue Committee. Una missione non facile, vista l’ambiguità della politica americana e i legami con i collaborazionisti, come dovette presto accorgersi quel trentenne laureato ad Harvard.
L’atmosfera di Marsiglia era elettrica. Il fantasma del campo di concentramento di Milles, a una trentina di chilometri dalla città, era molto più vivido del panorama. Per le strade non si parlava che di passaporti, di visti e di navi su cui fuggire dal pericolo incombente. L’arrivo di un’auto con la croce uncinata che percorreva lentamente la Canebière, alla ricerca di una preda, suscitava il panico. Da un momento all’altro nei caffè o negli alberghi zeppi di esuli potevano irrompere dei gendarmi collaborazionisti: «Polizia! Controllo documenti! Fermi tutti!».

Missione difficile. La resistenza della burocrazia del consolato statunitense a Marsiglia a produrre visti d’uscita, l’ambigua politica della polizia francese e il continuo mutamento delle norme rendevano estremamente difficile l’incarico di Fry. L’unico appoggio ufficiale era quello del viceconsole Hiram Bingham, che, per la sua generosità verso i rifugiati, avrebbe visto declinare la sua carriera. A volte Fry, stremato dal lavoro, riceveva i questuanti con una bruschezza che mascherava la sua timidezza e l’esasperazione di non avere i mezzi sufficienti per la sua missione. Figlio di un agente di cambio, si destreggiava in quel caos in un impeccabile completo gessato con un garofano rosso all’occhiello. Ma, malgrado i momenti di scoramento, Varian cercava febbrilmente di essere all’altezza della situazione. Al suo fianco agiva una pattuglia di volontari, eccentrici benefattori, tra cui spiccava Mary Jayne Gold, un’incantevole ereditiera americana amante di un malavitoso da lei convertito alla resistenza.
Fry doveva vagliare le domande per individuare i candidati più a rischio ed evitare le spie. Quando non bastò più tenere le riunioni nel bagno, con i rubinetti aperti, per evitare le intercettazioni, Fry ripiegò, non senza qualche difficoltà, su un postribolo. «Le ragazze provavano a sedersi sulle nostre ginocchia e a passarci le mani tra i capelli ed erano sorprese dalla nostra totale mancanza di interesse», racconta nel suo libro.
Inoltre molti di quei fuggitivi erano capricciosi. Il socialista Modigliani, fratello del pittore, rischiava lucidamente l’arresto pur di non rinunciare alla folta barba e alla pelliccia regalatagli da un sindacato Usa. Due statisti si erano fatti catturare perché si erano rifiutati di viaggiare in classe economica. Il superstizioso Franz Werfel era riluttante a partire il 13. «È così bello. Perché oggi non ce ne stiamo qui?» . «Io ti ammazzo!», aveva risposto la moglie, Alma Mahler. Tuttavia, pur sapendo che avrebbero dovuto passare a piedi il confine spagnolo, la coppia si presentò con dodici valigie. Nello zaino di Alma c’era il manoscritto della Bernadette di Werfel, la partitura della Nona Sinfonia di Gustav Mahler e quella della Terza Sinfonia di Anton Bruckner.
Eppure quel giovanotto elegante dall’aria ostinata cercava febbrilmente di essere all’altezza della situazione, ignorando intimidazioni e minacce. Era riuscito a convincere l’ambasciata cecoslovacca e altre rappresentanze minori, come il Siam, a rilasciare i passaporti spesso con nomi falsi. Poi, quando quella fonte si era inaridita, aveva scovato degli abili falsari. Per cercare di organizzare le fughe verso Gibilterra su dei pescherecci era venuto in contatto con i ras della malavita, che lo avevano aiutato efficacemente, per interesse e per simpatia. Una volta era stato Emilio Lussu, «un rifugiato politico italiano, con una barbetta grigia che si tirava continuamente» a suggerirgli di mettersi in contatto con i servizi segreti inglesi.
Quel senso di precarietà, continuamente oscillante tra la speranza e la disperazione, si attenuava dietro le mura di una villa in un grande parco un po’ malandato, al 63, avenue Jean-Lombard. Varian Fry l’aveva affitttata per ospitare l’élite intellettuale e artistica dei fuggiaschi. Si erano installate al primo piano tre persone: un uomo dall’aria autorevole e dai modi di una cortesia volutamente antiquata, sua moglie, una bellezza bionda, e la loro capricciosa figlia, Aube. Era André Breton, figura di prua del surrealismo, con Jacqueline Lamba, di una quindicina d’anni più giovane di lui, ballerina acquatica che nuotava completamente nuda in un’ex piscina trasformata in cabaret, il Coliseum. I Breton e i loro coinquilini apprezzavano la vita “meravigliosa” di Villa Bel Air, ironicamente soprannominata Château Espère-Visa, Spera-Visto.
Ben presto però dovette accorgersi che il pericolo persisteva. Breton, schedato come «anarchico pericoloso ricercato da tempo dalla polizia francese» per un collage contro Pétain, venne chiuso insieme a tanti altri nella stiva di una nave adibita a prigione. Quattro giorni dopo però, grazie agli sforzi di Varian, venne rilasciato e poté tornare dalla famiglia.
Ben prima che la polizia di Vichy lo espellesse furono proprio gli americani a non rinnovare a Fry quel passaporto che gli serviva da salvacondotto. Il 7 settembre del 1941, prima di lasciare l’Europa, Fry scrisse alla moglie: «Sono arrivato alla fine dei dodici mesi più intensi della mia vita [...] Non so se il mio cambiamento ti piacerà o meno: ho l’impressione di no. Ma c’è, e non scomparira. È il segno indelebile che un anno trascorso a combattere la mia piccola guerra personale ha lasciato su di me...». Riadattarsi non fu facile. Aveva provato, «Dio solo lo sa, a tornare allo stile di vita americano dopo aver lasciato definitivamente la Francia, ma non ha funzionato».
Per sfuggire i fantasmi e i traumi di tutte le sofferenze che aveva visto, decise di scrivere queste memorie vivide e avvincenti, Consegna su richiesta. Marsiglia 1940-1941. Artisti, dissidenti ed ebrei in fuga dai nazisti, benché molti lo incitassero a non farlo. L’editore, trovato con difficoltà, gli censurò la polemica introduzione, oggi riprodotta nell’edizione italiana edita da Sellerio dalla curatrice Valentina Parlato.

L’ingratitudine. Il rapporto degli Stati Uniti con la deportazione degli ebrei era un tema imbarazzante e con l’entrata in guerra l’egemonia della destra spinse a guardare con sospetto il “liberal” Fry.
Il libro vendette poco. Lui da parte sua continuava come sempre a comportarsi nel modo sbagliato. Aveva denunciato le sospette lentezze del Dipartimento di Stato Usa nell’elargizione dei visti e continuava a lavorare per i rifugiati arrivati a New York.
Il resto della sua vita fu in tono minore rispetto a quei dodici mesi di colpi di scena, in cui era stato la Primula Rossa di Marsiglia. Aveva salvato migliaia di persone tra cui Marcel Duchamp, André Breton, André Masson, Max Ernst, Marc Chagall, Heinrich Mann, Lion Feuchtwanger, Arthur Koestler, Hannah Arendt, Marcel Duchamp, Max Ophüls, Siegfried Kracauer, Anna Seghers, Benjamin Péret. Ma nessuno sembrava essergli grato, nemmeno il comitato che l’aveva inviato in Francia e poi esautorato, disturbato dalla sua indipendenza e dal ricorso all’illegalità. Il suo primo matrimonio non sopravvisse alla missione in Europa. Il secondo fu più stabile, Fry ebbe dei figli e fece molti mestieri, dal professore di latino e greco al pubblicitario.
Trent’anni dopo la sua morte fu riconosciuto come uno dei Giusti tra le Nazioni e celebrato: è stato il primo cittadino americano inserito nella prestigiosa lista. Nel 1998 ha avuto la cittadinanza alla memoria di Israele. Come aveva scritto Kracauer, «Secondo una vecchia leggenda ebraica, ogni generazione ha trentasei giusti che rendono il mondo vivibile. Se non esistessero, il mondo verrebbe distrutto e scomparirebbe. Ma nessuno sa chi sono. Loro stessi non sanno che è la loro esistenza a salvare il mondo dalla perdita».