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 2013  febbraio 15 Venerdì calendario

Eccellenza alla milanese Bacchetta ZHANG [Donna. Cinese. Quarantenne. Stakanovista. Dirige l’Orchestra Verdi

Eccellenza alla milanese Bacchetta ZHANG [Donna. Cinese. Quarantenne. Stakanovista. Dirige l’Orchestra Verdi. E qui racconta il segreto del suo successo] Riccardo Chailly, che ne è stato direttore musicale e che ne è l’attuale direttore onorario, non ha dubbi: «L’Orchestra Verdi deve continuare ad avere il suo spazio a Milano. Dopo la drammatica cancellazione dell’Orchestra Rai, ricopre un ruolo molto importante per la città, con il suo repertorio a 360 gradi, con l’ottimo lavoro svolto dall’orchestra barocca». E Gianni Cervetti, presidente della fondazione sinfonica e corale: «A novembre l’istituzione compie vent’anni. La nostra filosofia è promuovere i giovani e produrre molto. Questo ha pagato in termini di successi e di pubblico. Cito alcuni dati: nel 2012 abbiamo concretizzato 216 concerti sinfonici, 36 concerti da camera, nove lirici, 285 incontri didattici, conferenze, per complessivi 546 appuntamenti con un totale di presenze in auditorium di 215.939 unità». Numeri che in Italia hanno pochi eguali. «Vanno poi considerate le nostre affermazioni artistiche, come quelle ottenute nel recente tour a San Pietroburgo e Mosca, e i giovani che abbiamo lanciato, come il conduttore Jader Bignamini. E che la nostra attività si svolge in buona parte in un teatro fatto senza spendere un centesimo di finanziamento pubblico. Lorenzo Ornaghi, ministro per i Beni e le attività culturali, ci ha citato fra i tre esempi di eccellenza milanesi, assieme alla Scala e al Teatro Parenti. Tutti questi lusinghieri traguardi cozzano con il problema dei fondi. Per noi il contributo istituzionale resta centrale. L’anno scorso il ministero aveva stanziato due milioni, che non sono ancora arrivati. Ne abbiamo urgente bisogno, noi non ne facciamo spreco, come altre istituzioni», conclude. Tanti i progetti: quello di istituire a Milano un museo dedicato a Verdi, in luglio un tour in Germania con la bacchetta di John Axelrod e il violinista David Garrett, un altro in dicembre in Cina con la Zhang Xian che toccherà le più importanti città a iniziare da Pechino. E a settembre l’orchestra sarà ospite dei gloriosi "Proms" di Londra. Fra i doni che il padre gesuita Matteo Ricci fece all’imperatore Wanli della dinastia Ming, all’inizio del 1600, c’era un clavicordo, subito ammirato e strimpellato dagli eunuchi di corte. Difficilmente padre Ricci avrebbe potuto immaginare la Cina di questi anni invasa da 40 milioni di persone che studiano il pianoforte, 4 milioni di musicisti professionisti, quasi 200 mila giovani che ogni anno chiedono di entrare nei conservatori. Fra gli effetti di questa conquista, una schiera di artisti che si sono affermati in tutto l’Occidente, come Fou Ts’ong, ritenuto un maestro d’ispirazione da Martha Argerich e Radu Lupu, Yundi Li che nel 2000 ha vinto il concorso Frédéric Chopin di Varsavia, la Yuja Wang apprezzata da Claudio Abbado e recente ospite di Santa Cecilia, una star ormai entrata nell’immaginario collettivo giovanile come Lang Lang. E Zhang Xian, la prima donna direttore stabile di un’orchestra sinfonica italiana, la Verdi di Milano, interprete il 28 febbraio della mastodontica Terza sinfonia di Gustav Mahler all’Auditorium di Milano, a livello acustico una della migliori sale da concerto nostrane. Nata nel 1973 nei remoti contadi di Dandong prossimi al confine coreano, Zhang Xian aveva iniziato a quattro anni a suonare il pianoforte. E non fu una scelta facile: a quei tempi questo strumento in Cina non si produceva o vendeva, considerato dai dettami del maoismo un deleterio frutto della cultura capitalistica. Così il padre che lavorava in una fabbrica di congegni musicali dovette costruirglielo letteralmente pezzo per pezzo come si trattasse di un Lego. «La mia prima insegnante fu mia madre e presi molto sul serio questo impegno: studiavo otto ore al giorno», ricorda Zhang Xian a "l’Espresso", «nessuno può sapere più di me perché il pianoforte ottenga un tale successo nel mio Paese. In ogni famiglia c’è un bambino che ama la musica. Il pianoforte è bello pure solamente a vedersi, quasi fosse un decoro casalingo», sorride con gentilezza. Per quanto riguarda l’affermazione della musica occidentale in Oriente si sapeva dell’attività che un altro italiano, il fiorentino Mario Paci, intraprese a Shanghai, negli anni Venti del Novecento, dirigendovi la prima orchestra sinfonica cinese e creandovi le fondamenta per il primo conservatorio (il già citato Fou Ts’ong vi fu suo allievo). Ma poi arrivarono i giapponesi e il maoismo e per Bach e Beethoven furono tempi grami. Per fortuna, tra i frutti positivi dell’internazionalismo socialista, ci fu la calata dall’Unione sovietica di molti insegnanti musicali. «La scuola pianistica del mio Paese è figlia diretta di quella russa», osserva Zhang Xian. «E Lang Lang ne è un tipico esempio. Questo vale anche per i docenti di direzione d’orchestra. Io stessa imparai da due professoresse che avevano studiato al Conservatorio di Mosca». Minuta e dalle dita esili, Zhang Xian difficilmente avrebbe potuto divenire un’importante solista. «Certo, ci vogliono delle mani d’acciaio e io avevo quelle di cui madre natura m’aveva fornito», ricorda con un velo di tristezza negli occhi. Ma l’amore per la musica era tale che non si diede per vinta, passando dunque dai tasti alla bacchetta. Galeotte furono le "Nozze di Figaro" di Mozart all’Opera di Pechino: lei, diciannovenne, accompagnava al piano le prove dei cantanti che si preparavano per la prima e, come spesso accade nelle carriere dei musicisti classici, all’ultimo istante dovette sostituire il direttore d’orchestra. Ne seguì l’incoraggiante successo e l’approfondimento della materia con gli studi statunitensi, a partire dal 1998. Dopo il dottorato in musica all’Università di Cincinnati avvenne il decisivo incontro con Lorin Maazel, allorquando si impose al concorso Maazel/Vilar nel 2002. «Gli devo molto. La sua intelligenza digitale, l’analisi dello spartito, sono impareggiabili», conferma Zhang Xian. Il maestro la volle come suo assistente alla New York Philharmonic e da quel momento si aprirono le porte delle più importanti orchestre degli States, da Chicago a Pittsburgh, da Cincinnati a Washington. Fra le sue tante esibizioni una curiosità: nel 2008 fu la prima donna a condurre la storica orchestra della Staatskapelle Dresden nella sua sala principale. Finché, nel 2009, arrivò l’incarico alla Verdi di Milano. Che particolarità hanno le orchestre americane, italiane e tedesche? «Non parlerei di differenze di suono, variando esso in maniera cospicua a seconda del rapporto che si crea fra un direttore e il suo ensemble. Le diversità sono piuttosto di tipo culturale, organizzativo: le orchestre statunitensi di solito lavorano con un orario concentrato, sono assai metodiche ed efficienti. In Italia c’è più libertà e dipendono maggiormente dal direttore. Dall’inizio delle prove al giorno del concerto vi avverto un enorme divario nel risultato conseguito. L’orchestra tedesca dal canto suo pretende dal direttore il 100 per cento e questi è perciò parimenti decisivo per l’esito finale». Le è capitato qualche episodio di maschilismo? «Accade che qualche orchestrale non sia a suo completo agio. Ma tutto il mondo è paese, l’Italia come la Cina: vent’anni fa le donne non avevano molta influenza nel mondo degli affari come in quello della politica ed erano inesistenti sul podio. Ma con il dialogo si superano tutte le incomprensioni». Lei ha diretto con una certa frequenza Puccini: "Turandot" in Cina, "Bohème" in Inghilterra. Che cosa l’ha affascinata? «Trovo straordinario il suo canto, la melodia, la sapienza della scrittura vocale. Sa che adesso, in Cina, "Turandot" è l’opera più famosa ed eseguita?». Recentemente ha vinto l’Ambrogino d’oro, onorificenza conferita dal comune di Milano. Qual è il suo rapporto con la città meneghina? «Abito nei pressi del Naviglio pavese. La mia è una vita normale: faccio la spesa, porto i miei due bambini a spasso». Cosa le piace di Milano? «Il suo ritmo, il suo modo di lavorare, ma anche le oasi di tranquillità. A Milano la famiglia e il lavoro si armonizzano molto bene. Diversamente da New York, dove la vita è troppo frenetica». Ciononostante Zhang Xian è conosciuta per il suo stakanovismo. Ha persino diretto sul podio all’ottavo mese di gravidanza e i figli in grembo hanno partecipato fino all’ultimo agli eventi musicali. «In "Sheherazade" di Rimskij-Korsakov a ogni entrata del violino solista il mio bimbo contrassegnava il proprio apprezzamento con dei piccoli calcetti. Poi gli piaceva enormemente la voce delle donne e quella del violino. In particolare le "Quattro stagioni" di Vivaldi, gli stacchi degli archi nella "Sagra della primavera" di Stravinskij. Mozart sempre, molto meno Beethoven, forse perché è troppo tetro», ricorda. Qualche settimana fa le fu fatale la tumultuosa "Ouverture 1812" di Ciaikovskij. Il piccolo reclamò urgentemente l’uscita e non ci fu richiesta di bis che tenne.