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 2013  febbraio 15 Venerdì calendario

Ingroia che ti passa– Antonio Ingroia, il pm antimafia salito sulle spalle della sinistra-sinistra diventando con Rivoluzione civile la mina vagante che può far vincere o perdere il Pd, compone le frasi come se facesse una partita a Ruzzle

Ingroia che ti passa– Antonio Ingroia, il pm antimafia salito sulle spalle della sinistra-sinistra diventando con Rivoluzione civile la mina vagante che può far vincere o perdere il Pd, compone le frasi come se facesse una partita a Ruzzle. Ma senza divertimento, men che meno stupore. Un paroliere tutt’altro che estroso, peraltro: legalità, legalitario, legale, legali, legge. Inizia a solfeggiare già a mattina, appena sceso a Milano dalla macchina con lampeggiante e scorta, nella giornata in cui batte palmo a palmo la Lombardia - l’Ohio d’Italia, regione chiave degli equilibri del Senato e dove dunque, come in Sicilia, il suo pacchetto di voti può essere decisivo. Oggi si deve parlare di crisi economica? Bene. «Il motore dello sviluppo può diventare la legalità», annuncia. Un messaggio che ripete prima per radio, a Cologno Monzese, poi al Palazzo delle Stelline, a un passo da Sant’Ambrogio. Fuori nevica forte, paralizzati i trasporti di mezza Italia, a Roma il papa sta annunciando le dimissioni. Ma potrebbe esserci qualunque tempo e qualunque notizia-bomba: per uscire dal tunnel della crisi e riavviare il motore, tira dritto Ingroia, basta dedicarsi con più foga alla confisca dei beni mafiosi, cambiare la legge per poter sequestrare anche i grandi patrimoni frutto di corruzione ed evasione e il gioco è fatto. Si recupererebbero «grandi quantitativi di denaro», da destinare alla piccola e media impresa, ma anche a garantire un reddito minimo ai disoccupati. Un uovo di Colombo. Così assicura il pm in prestito alla politica, che in questo genere di discorsi parla sempre per spanne («Da un pezzo», «un numero sterminato», «tra i più bassi d’Europa», «insopportabile lunghezza») e nei numeri precisi non si avventura mai. Del resto, che accenni al lavoro, al femminicidio, alla disoccupazione, è sempre sulla legalità che finisce. Programma di governo, centro di gravità permanente, metro del mondo. Pane che regala a piene mani agli appassionati del genere, a forza di «noi abbiamo le mani pulite», anche se «non siamo migliori degli altri, anzi lo siamo», che «vogliamo azzerare tutte le leggi ad personam» ed «eliminare la mafia», mica solo combatterla o contenerla, come ha fatto il Pd. E gli ultrà accorsi ad ascoltarlo gli sorridono largo, gli porgono i suoi libri da firmare come se fossero paramenti sacri. O ne citano i titoli con evocativa deferenza - "Palermo", "Io so" - così, senza aggiungere altro. Anche se in terra lombarda dimentica Formigoni e il suo scandalo e se la prende col Pd. Fuori da questo perimetro, quello tradizionale del pm antimafia e dei suoi fan, alberga invece scetticismo. E un qualche rimpianto per la scarsa presenza in campagna elettorale di Luigi De Magistris, l’arancione con appeal trasversale. «Ingroia invece sa parlare solo di giustizia, non ha ancora capito che non deve diventare procuratore dell’Oklahoma, ma entrare in Parlamento», sussurrano nelle retrovie del movimento. E in effetti, a guardarlo girare per incontri pubblici, conferenze stampa, saluti ai gazebo dei militanti, col suo gilet di lana sotto la giacca e i suoi gemelli ai polsi, il suo tono né piacione né antipatico, pare Ingroia sempre assai compreso nel suo ruolo, e insieme un po’ a disagio.Un essere mitologico, metà magistrato e metà leader politico - o forse in questo momento nessuno dei due, esattamente. Come se - da Borsellino al Guatemala, passando per l’antipolitica in versione società civile - avesse troppi echi di cui tenere conto, e nessuno in modo specifico. Sarà anche per questo che, tra la gente, c’è anche chi va ad ascoltarlo per decifrarlo: «Il programma di Rivoluzione civile mi piace, lui invece mi è sembrato poco pungente», spiega un informatico di mezza età calato dalle valli bergamasche. Poco pungente, che paradosso. Troppo "professore" per fare il tribuno della plebe in stile Di Pietro (non urla mai, per dire), troppo disincantato per fare l’incantatore di serpenti, troppo poco carismatico per fare il visionario alla Bertinotti. Eppure, adesso, alla guida di un movimento che fra gli altri mette insieme proprio quei partiti (Italia dei Valori, Rifondazione comunista, Comunisti italiani), sommandoli con la società civile dei Sandro Ruotolo e delle Ilaria Cucchi. Il risultato, anch’esso ibrido, lo si vede per esempio nel dibattito pubblico alla Camera di commercio di Brescia, altra tappa del tour lombardo. Sul palco, a destra di Ingroia - lato antimafia - c’è Franco La Torre, figlio di Pio, mentre a sinistra - lato sindacal comunista - c’è Maurizio Zipponi della Fiom; in sala, duecento persone, uno strano mix tra giovanissimi incuriositi dal personaggio (il diciottenne che ha letto tutti i suoi libri, la ventiquattrenne che si è appena laureata con una tesi sulle ecomafie, sembra di stare nella Rete di Orlando vent’anni fa) e robusti metalmeccanici o sindacalisti in genere che parlano con passione di fabbrica, di scuola, di sanità, di articolo 18 e riforma delle pensioni. Gente che, nella foga di raccontare al leader politico le proprie battaglie, finisce per sbattere la fronte contro l’altra metà dell’essere mitologico Ingroia, il magistrato. Come fa, dal palco, un operaio dell’Iveco: «Perché per i lavoratori in mobilità nessuno insorge e, invece, quando Giorgio Napolitano è stato attaccato sulla trattativa Stato-mafia è insorto il mondo?», domanda polemico, mentre in sala si fa silenzio tombale e il leader di Rivoluzione civile - titolare dell’inchiesta sulla trattativa - guarda il telefonino e sembra prendere appunti svogliato, come nell’imitazione di Crozza. Oppure gente da sempre di sinistra-sinistra che, come Anna, spiega quanto le paia assurdo «essere finita a sostenere un giudice, dopo che negli anni Settanta ero contro i giudici» perché gli appare affidabile. Puntare a una sinistra un po’ antica, pescare tra gli elettori di Pd e Sel. È questa la vasca nella quale alla fine Ingroia butta gli ami. Attaccare Bersani «che rappresenta l’apparato» e la sua «scelta di allearsi con Monti dopo il voto» è l’unica porzione della politica che - tolta la legalità - lo scaldi un po’. La frase contro il «criminogeno» Berlusconi è articolata quasi controvoglia, a Monti è riservato solo un mezzo affondo: è «un tecnocrate», ma pur sempre incarna «una destra pulita». Agli avversari naturali di centrodestra, l’ex pm preferisce gli antagonisti di centrosinistra. Contro i quali è persino capace di dire che «un governo stabile non è un valore assoluto, ma un valore relativo», anche se si è in mezzo alla crisi più nera. Qual è il suo obiettivo finale? Una poltrona da ministro? Ingroia lo nega, ma certo il suo programma da Guardasigilli ce l’avrebbe già, persino nel dettaglio. Essendo, naturalmente, contrario alla separazione delle carriere, o a dare più poteri investigativi agli avvocati («Ne hanno già troppi»), ma favorevole a una revisione della legge sulle intercettazioni. Chissà perché.