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 2013  febbraio 15 Venerdì calendario

TUTTO IL POTERE A UN CEO

Intervista sul papa ad Adriano Prosperi
La Chiesa arriva spesso in ritardo. Ma ora che sembra aver raggiunto l’appuntamento con la modernità (sembra perché il futuro non è mai prevedibile al cento per cento), lo ha fatto in un modo rivoluzionario. Dimostra di essere capace di reinventarsi senza rinunciare alla propria storia. Nelle sacre stanze sta entrando un vento di laicità, perché i futuri papi saranno sempre meno vicari di Cristo e sempre più amministratori delegati di un ente chiamato Chiesa cattolica. La pensa così Adriano Prosperi, storico, accademico dei Lincei, formatosi alla Normale di Pisa, autore di libri importanti tra i quali, il fondamentale " Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari " . E da storico della Chiesa, il professore cerca con "l’Espresso" di interpretare il gesto di Joseph Ratzinger e di tracciare qualche ipotesi sul futuro di un’istituzione vecchia duemila anni, ma che da ogni crisi esce ringiovanita.
Dobbiamo parlare di abdicazione o di dimissioni del papa?
«Di rinunzia. Dovuta a un fallimento. È come se Benedetto XVI avesse confessato di non essere in grado di riassumere nella sua persona tutta la complessità della Chiesa. Pensiamo alla questione dei pedofili, dei lefebvriani, al discorso di Ratisbona. C’è stato un susseguirsi di segnali confusi e incerti. Il pontefice sembrava timoroso ad affacciarsi alla finestra del mondo. Ha finito per rinserrarsi nella sua stanza con i suoi libri e il pianoforte. D a questo punto di vista il confronto con il suo predecessore è stato impietoso. Wojtyla aveva chiuso dietro di sé le porte del Vaticano e se ne andava in giro per il mondo, incontrando tutti, rivolgendosi a tutti. Quando penso a Ratzinger mi viene in mente un altro papa venuto dal Nord, Adriano VI (diventato pontefice nel 1522). Fu isolato perc hé non seppe far fronte ai problemi del mondo, allora si trattava della sfida lanciata dalla riforma di Lutero».
Sta dicendo che Ratzinger manca di carisma. Colpa della sua personalità, o è impossibile oggi fare come Wojtyla?
«Wojtyla riassumeva in sé tutte le questioni della Chiesa. Con la famosa frase con cui inziò il pontificato: "Se sbaglio mi corrigerete" voleva dire, io sono la Chiesa e me ne infischio delle regole. Aveva fatto un grande investimento in movimenti carismatici: gruppi d’avanguardia capaci di muoversi con agilità e in grado di manipolare i mass media e maneggiare il denaro. Era una Chiesa che aveva lasciato da parte la struttura che tanto ammirava Gramsci: il parrocco, l’intelletuale organico. Ratzinger sembrava adatto a ripristinare la normalità: veniva dalla curia. Si è limitato invece ad amministrare faticosamente la verità teologica. È stato un professore prestato alla Chiesa».
E ora?
«Non credo sarà facile reinventare un personaggio carismatico. Non è più possibile gestire la Chiesa come faceva Wojtyla. Ecco perché penso che dopo il conclave si andrà verso una delocalizzazione dei luoghi di potere: un concistoro più ampio, piccoli concili locali, istanze che avanzava il cardinal Martini. Si aprirà la strada a una struttura più pluralista, policentrica e a una progressiva diminuzione del ruolo di Roma».
La Chiesa si mette al passo della modernità?
«Sì. La rinunzia ha questo significato. Mette in luce l’aspetto umano della persona chiamata a guidare la Chiesa. Evidenzia la fragilità, la vecchiaia. Il corpo del papa carico di simboli e significati metafisici torna a essere il corpo di un uomo. Vorrei fare un parallelo. In un momento di crisi, alla fine del Cinquecento la Chiesa ha reagito organizzandosi in una serie di dicasteri, commissioni. Si è data una struttura di potere moderna, con un segretario di Stato e deleghe varie. In questo modo la Chiesa è andata avanti per qualche secolo. Adesso questo meccanismo ha fatto il suo tempo».
Il papa assomiglierà al Ceo di un’azienda, un amministratore delegato che gestisce le cose e quando non va bene dà le dimissioni?
«Sì. Avremo il papa e accanto a lui il professore, l’emerito che potrà essere disponibile in quanto esperto. Di conseguenza ci sarà meno enfasi sulla supremazia del pontefice. Si chiude una fase che arrivò al suo massimo sviluppo con Pio XII, e poi venne ripresa da Wojtyla. Una simile strategia non è più sostenibile».
Sta dicendo che per uscire dalla crisi la Chiesa ha pensato di laicizzarsi un po’?
«Sì. Dopo aver enfatizzato la sacralità, l’eternità, la diversità della figura riassuntiva di tutti i poteri della chiesa, una specie di vice-Dio adesso c’è l’uomo che ammette: in coscienza non ce la faccio. È un colpo decisivo alla santità esagerata dell’ufficio papale. L’ufficio non è santo, è tenuto da uomo».
Ma allora che fine farà l’idea che il papa sia vicario di Cristo, guidato dallo Spirito santo?
«È un elemento di teologia che rimane. La pratica è altra cosa. Comunque non sottovaluterei l’effetto di una stategia dell’"abbassarsi per esaltarsi". C’è una retorica dell’umanità del papa che ne esalta appunto la funzione. E poi: la Chiesa ha sempre tenuto in conto l’umanità dei suoi esponenti, la loro fragilità e la possibilità dell’errore. E anche il papa, una volta abbondonata l’assistenza dello Spirito Santo, torna a essere un povero uomo. Potrebbe essere un modo per rilanciare la figura del pontefice. Nella Chiesa si apre una fase costituente. La Chiesa arriva spesso in ritardo. Ma ora che sembra aver raggiunto l’appuntamento con la modernità (sembra perché il futuro non è mai prevedibile al cento per cento), lo ha fatto in un modo rivoluzionario. Dimostra di essere capace di reinventarsi senza rinunciare alla propria storia. Nelle sacre stanze sta entrando un vento di laicità, perché i futuri papi saranno sempre meno vicari di Cristo e sempre più amministratori delegati di un ente chiamato Chiesa cattolica. La pensa così Adriano Prosperi, storico, accademico dei Lincei, formatosi alla Normale di Pisa, autore di libri importanti tra i quali, il fondamentale " Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari " . E da storico della Chiesa, il professore cerca con "l’Espresso" di interpretare il gesto di Joseph Ratzinger e di tracciare qualche ipotesi sul futuro di un’istituzione vecchia duemila anni, ma che da ogni crisi esce ringiovanita.
Dobbiamo parlare di abdicazione o di dimissioni del papa?
«Di rinunzia. Dovuta a un fallimento. È come se Benedetto XVI avesse confessato di non essere in grado di riassumere nella sua persona tutta la complessità della Chiesa. Pensiamo alla questione dei pedofili, dei lefebvriani, al discorso di Ratisbona. C’è stato un susseguirsi di segnali confusi e incerti. Il pontefice sembrava timoroso ad affacciarsi alla finestra del mondo. Ha finito per rinserrarsi nella sua stanza con i suoi libri e il pianoforte. D a questo punto di vista il confronto con il suo predecessore è stato impietoso. Wojtyla aveva chiuso dietro di sé le porte del Vaticano e se ne andava in giro per il mondo, incontrando tutti, rivolgendosi a tutti. Quando penso a Ratzinger mi viene in mente un altro papa venuto dal Nord, Adriano VI (diventato pontefice nel 1522). Fu isolato perc hé non seppe far fronte ai problemi del mondo, allora si trattava della sfida lanciata dalla riforma di Lutero».
Sta dicendo che Ratzinger manca di carisma. Colpa della sua personalità, o è impossibile oggi fare come Wojtyla?
«Wojtyla riassumeva in sé tutte le questioni della Chiesa. Con la famosa frase con cui inziò il pontificato: "Se sbaglio mi corrigerete" voleva dire, io sono la Chiesa e me ne infischio delle regole. Aveva fatto un grande investimento in movimenti carismatici: gruppi d’avanguardia capaci di muoversi con agilità e in grado di manipolare i mass media e maneggiare il denaro. Era una Chiesa che aveva lasciato da parte la struttura che tanto ammirava Gramsci: il parrocco, l’intelletuale organico. Ratzinger sembrava adatto a ripristinare la normalità: veniva dalla curia. Si è limitato invece ad amministrare faticosamente la verità teologica. È stato un professore prestato alla Chiesa».
E ora?
«Non credo sarà facile reinventare un personaggio carismatico. Non è più possibile gestire la Chiesa come faceva Wojtyla. Ecco perché penso che dopo il conclave si andrà verso una delocalizzazione dei luoghi di potere: un concistoro più ampio, piccoli concili locali, istanze che avanzava il cardinal Martini. Si aprirà la strada a una struttura più pluralista, policentrica e a una progressiva diminuzione del ruolo di Roma».
La Chiesa si mette al passo della modernità?
«Sì. La rinunzia ha questo significato. Mette in luce l’aspetto umano della persona chiamata a guidare la Chiesa. Evidenzia la fragilità, la vecchiaia. Il corpo del papa carico di simboli e significati metafisici torna a essere il corpo di un uomo. Vorrei fare un parallelo. In un momento di crisi, alla fine del Cinquecento la Chiesa ha reagito organizzandosi in una serie di dicasteri, commissioni. Si è data una struttura di potere moderna, con un segretario di Stato e deleghe varie. In questo modo la Chiesa è andata avanti per qualche secolo. Adesso questo meccanismo ha fatto il suo tempo».
Il papa assomiglierà al Ceo di un’azienda, un amministratore delegato che gestisce le cose e quando non va bene dà le dimissioni?
«Sì. Avremo il papa e accanto a lui il professore, l’emerito che potrà essere disponibile in quanto esperto. Di conseguenza ci sarà meno enfasi sulla supremazia del pontefice. Si chiude una fase che arrivò al suo massimo sviluppo con Pio XII, e poi venne ripresa da Wojtyla. Una simile strategia non è più sostenibile».
Sta dicendo che per uscire dalla crisi la Chiesa ha pensato di laicizzarsi un po’?
«Sì. Dopo aver enfatizzato la sacralità, l’eternità, la diversità della figura riassuntiva di tutti i poteri della chiesa, una specie di vice-Dio adesso c’è l’uomo che ammette: in coscienza non ce la faccio. È un colpo decisivo alla santità esagerata dell’ufficio papale. L’ufficio non è santo, è tenuto da uomo».
Ma allora che fine farà l’idea che il papa sia vicario di Cristo, guidato dallo Spirito santo?
«È un elemento di teologia che rimane. La pratica è altra cosa. Comunque non sottovaluterei l’effetto di una stategia dell’"abbassarsi per esaltarsi". C’è una retorica dell’umanità del papa che ne esalta appunto la funzione. E poi: la Chiesa ha sempre tenuto in conto l’umanità dei suoi esponenti, la loro fragilità e la possibilità dell’errore. E anche il papa, una volta abbondonata l’assistenza dello Spirito Santo, torna a essere un povero uomo. Potrebbe essere un modo per rilanciare la figura del pontefice. Nella Chiesa si apre una fase costituente.