Jacopo Iacoboni, La Stampa 15/2/2013, 15 febbraio 2013
LA PERSECUZIONE NON È UGUALE PER TUTTI GLI SCRITTORI
[Il New York Times denuncia il caso dell’azero Aylisli, ignorato dai media occidentali, “reo” di avere scritto del genocidio armeno] –
Anche tra gli scrittori perseguitati ci sono i perseguitati di serie A e i perseguitati di serie B. È una terribile sciatteria, un due pesi due misure che fa a pugni con la coscienza liberal, ma è così. Nei media occidentali pochissimi si stanno occupando del caso Akram Aylisli.
Akram Aylisli è uno scrittore perseguitato di serie B. Non ha la visionarietà di Rushdie, ma neanche il suo fascino salottiero; non ha l’ allure fantasmatica di Pamuk; oltretutto non è vittima di una fatwa fondamentalista in senso stretto, pur avendo lambito da vicino la questione musulmana: ha scritto del genocidio armeno. Insomma, questo scrittore azero di 75 anni, ex avvocato, considerato il più importante nella sua lingua, se la deve vedere quasi da solo contro il governo dell’Azerbaigian, che addirittura gli aizza contro roghi del suo libro sotto casa sua, e ha messo una taglia di 12.700 dollari per chi gli mozzerà le orecchie.
La storia è semplice, ed è come tutte le altre, da questo punto di vista. Aylisli ha scritto in lunghi anni un libro, Stone Dreams , Sogni di pietra, che è stato concluso nel 2007 ma è uscito solo a dicembre. Ha ricevuto ottima accoglienza negli Stati Uniti, nonostante fosse stato pubblicato in russo su una rivista laterale. «Speravo che così conquistasse un’audience un po’ più aperta, com’è quella di chi parla russo», ha spiegato lo scrittore al New York Times . Il che dà la misura della situazione in Azerbaigian. Niente. Hafiz Hajiyev, leader del partito Musavat, ha dichiarato indignato che «Aylisli ha insultato quattro milioni e mezzo di cittadini dell’Azerbaigian, dipingendoli come selvaggi». E, per smentirlo, ha subito offerto la taglia a chi gli segherà le orecchie. Altri parlamentari sostengono che addirittura «ha insultato tutta la grande Nazione turca». Immaginate quanto si possa dormire tranquilli se si sveglia anche Istanbul.
In Stone Dream Aylisli racconta una storia nel retroterra incendiario della guerra di vent’anni fa per il Nagorno Karabakh, l’enclave a maggioranza armena in territorio azero. Due uomini azeri si battono per salvare i vicini armeni dal genocidio. In alcuni punti si inserisce palese la complicazione religiosa; il giovane protagonista azero - gli azeri sono in maggioranza musulmani, gli armeni cristiani - ha un fortissimo impulso a convertirsi al cristianesimo. «Chiedo perdono a Dio per le violenze che i musulmani hanno inflitto agli armeni», dice. È una delle scene che più hanno fatto infuriare gli azeri; persino sui social network, dove, paradosso, questa storia tribale ha spopolato.
Così venerdì scorso Aylisli è finito vittima della taglia, e di manifestazioni orrende di gente che gli inscena un finto funerale pubblico. E la cosa triste è che, a parte il New York Times e l’ Independent , l’opinione pubblica intellettuale non s’è granché scaldata per lui. Quanto diversa sorte, per dire, da un Pamuk.
Il grande scrittore turco di Neve nel 2005 ha rischiato di finire tre anni in galera (nelle sempre amene carceri turche); poi nel 2006, chissà se complice la grande mobilitazione politico-mediatica per difenderlo, ha ricevuto il Nobel per la letteratura. Anche Pamuk aveva scritto - guarda caso - del genocidio degli armeni; ma la sua sorte è stata rovesciata rispetto a quella di Aylisli, che lotta da solo, asserragliato in casa sua.
È una dinamica che la falsa coscienza di intellettuali democratici e occidentali conosce. Il Nobel è forse la più plastica manifestazione di questo strambo doppiopesismo dei perseguitati, da una parte; e dall’altra sancisce una contaminazione tra politica e letteratura che offusca il giudizio puro e semplice sul valore dell’opera, al netto delle sue implicazioni politiche. Da Pasternak a Solzenicyn, Brodsky, Milosz, quanti scrittori sono stati premiati a Stoccolma per la potenza dei loro libri, e quanti per il fascino, certo non cercato, del martirio? E tra l’altro, puntuale, il regime di Mosca ogni volta che qualche dissidente veniva premiato, o che si montava una campagna occidentale per difenderlo, gridava alla distensione tradita. Come se leggere uno scrittore su un samizdat clandestino ce lo facesse sembrare più bello a prescindere. Una tara che, per altri versi, Edward Said ha colto benissimo a proposito del nostro «orientalismo».
È un groviglio di questioni che di volta in volta ci siamo posti per Rushdie, e la fatwa pronunciata contro di lui nell’89 da Khomeini, per Tasleema Nasreen, che scriveva per le donne bengalesi e fu marchiata dal regime del Bangladesh nel ’93, o per Lu Xiaobo, incarcerato e poi tenuto agli arresti domiciliari in casa dalla tirannia di Pechino.
L’elenco potrebbe durare ore. A volte la persecuzione è impalpabile e avviene persino in antiche democrazie, come capitò a Martin Amis con la comunità musulmana inglese, o a Houellebecq per aver fatto arrabbiare, con Piattaforma , l’islam di Francia. Naturalmente, con tutto lo strabismo e il doppiopesismo, a loro nessuno vuole tagliare le orecchie.