Giulia Zonca, La Stampa 15/2/2013, 15 febbraio 2013
DA ANGELO A DEMONE OSCAR, FINE DI UN SOGNO
[Le ombre dietro un’immagine perfetta] –
Essere un’icona è un mestiere difficile e soprattutto dà dipendenza, se ogni giorno della tua vita sei preso come parametro dello straordinario può capitare di perdere il senso dei limiti. Del resto Oscar Pistorius è diventato famoso proprio perché ha abbattuto ogni limite: ha corso i 400 metri senza gambe, ha gareggiato alle Olimpiadi, ha vinto una medaglia mondiale dentro una staffetta che non era pronta ad accoglierlo. È abituato a superare la logica apparente ed è possibile che i confini del lecito dentro la sua testa si siano spostati, confusi.
Certo è impossibile identificare il Pistorius che conosciamo con l’uomo che sta a testa bassa protetto dal cappuccio della felpa, all’uscita della stazione di polizia. Oscar è sempre stato solare, affabile, molto più paziente della media dei campioni, uno che alla centesima foto sorride e dice: «È giusto così», consapevole del ruolo e della curiosità che in certe fasi deve essere stata insopportabile. Si è reso disponibile a tutti i test del mondo, si è accollato la trafila burocratica per dimostrare che le sue protesi da ghepardo non sono un vantaggio, ma nella vita privata si è abituato a scappare, ad andare veloce e a scrollarsi di dosso ogni obbligo.
Ossessionato dalla sicurezza e dalla difesa della privacy, ha tirato su una casa con allarmi a ogni finestra e ha messo nel cassetto una pistola da 9 millimetri, la stessa che ha ucciso la fidanzata. Si allenava spesso al poligono di tiro, «quando non riesco a dormire vado a sparare». Voglia di ebbrezza, un tipo di fremito che ha sempre inseguito. Quattro anni fa è rimasto coinvolto in un incidente in barca, guidava lui, andava veloce, aveva bevuto: «Mi sono fatto prendere la mano» ed era convincente con la risata autoironica e la consapevolezza di aver rischiato grosso e perso una stagione per il bisogno di evadere. Ha cercato ancora quel brivido, investe in cavalli da corsa, possiede due tigri bianche, tiene un pitbull in giardino: scommesse, velocità, animali feroci. Dietro l’impeccabile esempio dell’atleta contemporaneo, coraggioso, determinato e così incredibilmente umile e tranquillo a bordo pista, c’è il lato oscuro. L’imprevedibile Oscar che non ha voglia di render conto. Come se avesse esaurito la pazienza con la vita pubblica, quella in cui passa da una raccolta fondi all’altra, quella in cui usa come logo del profilo twitter il dettaglio della foto in cui tiene per mano una bambina con le protesi uguali alle sue. E ha sfoggiato tutta questa rassicurante correttezza senza mai sembrare stucchevole perché dentro ha sempre conservato la scintilla della genuinità. Non era solo una faccia, era un esempio e quelle stranezze apparivano più che altro come naturale bisogno di leggerezza.
Qualche ombra vera si era già vista, ma troppo rapida e confusa per essere l’evidente segnale di un pericolo. Nel 2009 ha passato una notte in stato di fermo accusato di maltrattamento. Una ragazza di 19 anni sosteneva di essere stata strattonata, lui diceva di averle solo chiuso la porta in faccia. Il caso è stato archiviato. E un’altra ex aveva minacciato scomode verità dopo l’abbandono, «Vi dirò come è veramente Oscar», poi era rimasta zitta, probabilmente solo amareggiata per lafine della storia. I vicini che ieri lo hanno sentito litigare lo descrivono come un tipo geloso, secondo alcuni giornali sudafricani aveva già fatto scenate isteriche a Reeva Steenkamp, accusata di essere troppo gentile con gli ammiratori. Ora è facile ricondurre ogni particolare al gesto folle di cui probabilmente è colpevole, ma la verità è che fino a oggi Pistorius è stato strabiliante, irreale, una storia praticamente perfetta. Un modello, un sogno che, comunque vada, finisce qui.