Federico Rampini, la Repubblica 15/2/2013, 15 febbraio 2013
SLOW WORK
[Più vacanze, meno stress: è il modello produttivo che arriva dagli Usa, promosso dai guru del neomanagement e benedetto da Harvard] –
Non rispondete più alle email fuori dall’orario di lavoro. Finite la giornata in palestra, invece di portarvi lavoro arretrato da smaltire a casa. Andate in vacanza più spesso e restateci più a lungo.
la siesta ogni giorno. Sono le nuove regole d’oro della produttività. In America, perbacco. È la rivoluzione anti-stress che arriva nelle aziende. La chiamano anche “rinnovamento strategico”: della nostra energia al lavoro. È un nuovo credo, nasce proprio nella culla del capitalismo più competitivo, nella nazione che ha inventato il mito del “workaholic”, il fanatico del lavoro, chi fa carriera perchè pensa solo a quello.
Una serie di nuove ricerche lanciano questo contro-modello, per una vera produttività adeguata alla società creativa postindustriale. È tutto il contrario delle regole che furono imposte per decenni ai dipendenti iperstressati e costretti a una compe-titività logorante. Il
New York Times dedica il suo magazine domenicale a uno dei guru del neomanagement, profeti di questa rivoluzione: Tony Schwartz. Che del grande quotidiano newyorchese fu un giornalista (oltre che di Newsweek), prima di inventarsi un nuovo mestiere. Oggi Schwartz è direttore dell’Energy Project, una società che non si occupa di petrolio bensì di energia umana. È consulente delle più grandi multinazionali Usa, “istruisce” clienti come Apple, Google, Coca-Cola, Ford, Sony, Genentech. Sforna un best-seller all’anno, manuali come “Non si può lavorare così” (pubblicato in Italia da Rizzoli) o il più recente “Be Excellent at Anything”. Il suo non è un caso isolato. La Business School di Harvard promuove un intero filone di studi che vanno nella stessa direzione: come esaltare la nostra produttività rompendo con i vecchi modelli autoritari o stakanovisti che ci “spremevano” fino a esaurirci. Perché molte grandi imprese oggi hanno bisogno soprattutto della nostra fantasia; oppure della nostra capacità di lavorare in squadra cooperando con i colleghi; o infine i risultati
aziendali dipendono dalla nostra attenzione al cliente. Tutto questo mal si concilia con lo sfinimento psico-fisico provocato da orari estenuanti, sacrificio del sonno, cattiva forma fisica.
«Fate l’esame alla vostra tipica giornata di lavoro — chiede Schwartz — e cominciate con domande
semplici. Vi svegliate già stanchi di primo mattino? Quando cominciate a controllare le email? Vi sembra impossibile smaltire tutta la posta elettronica? Il pensiero del lavoro vi rincorre a casa la sera?».
La soluzione fornita dal “rinnovamento strategico” delle energie umane è basata su accorgimenti semplici, alcuni dei quali molto antichi, ma passati di moda qualche generazione fa: recuperare la siesta, le vacanze lunghe. Tra i sostenitori di questa politica c’è Arianna Huffington: la fondatrice dell’omonimo blog ha voluto disegnare
la sua redazione di New York con delle “stanze buie” attrezzate di lettini per le sieste dei blogger. «L’energia è una risorsa finita, come il tempo — spiega Schwartz — ma l’energia è rinnovabile: anche quella umana. La via maestra per rinnovarla è riposarsi, spesso e bene. Il contrario di quel che accade ancora in troppi luoghi di lavoro, dove ancora prevale una dottrina obsoleta che vede il riposo come ozio, come uno spreco. Così un terzo dei lavoratori dipendenti in America consumano il pranzo sulla scrivania dell’ufficio per non perdere tempo, e il 50% si porta qualche lavoro arretrato da finire a casa o durante le vacanze». Eppure non sono questi i dipendenti veramente produttivi.
Ora la conversione al nuovo paradigma sta avanzando rapidamente, grazie a una mole di studi autorevoli. Una ricerca di Harvard lancia l’allarme sul deficit di sonno: costa 63 miliardi all’anno all’economia americana per la produttività perduta. Alla University of California-Riverside hanno dimostrato che spezzare la giornata lavorativa con una siesta dai 60 ai 90 minuti genera dei miglioramenti significativi nella memoria, tanto quanto otto ore di sonno notturno. La società di revisione dei bilanci Ernst & Young in uno studio interno sui propri dipendenti ha scoperto che per ogni vacanza aggiuntiva la produttività migliora dell’8%. Una ricerca guidata dal neuropsicologo svedese Anders Ericsson presso la Florida State University, conclude che il ritmo di lavoro ideale dovremmo copiarlo dai campioni di atletica, dai grandi musicisti, e dagli attori teatrali di maggior talento: molti di loro lavorano in “sessioni” di 90 minuti, intervallate con momenti di riposo, riflessione, meditazione, concentrazione. È la ricetta per dare il meglio di sé.
Il sonno in modo particolare riceve un’attenzione nuova da questi studiosi. Reagiscono al fatto che noi invece lo sottovalutiamo. La Huffington ne ha fatto un cavallo di battaglia, con una sezione del suo blog intitolata Healthy Living (vivere sano) dove ricorrono titoli come questo: “Perché il sonno è più importante del cibo”. Giusto: noi salutisti che siamo disposti a spendere il 20% in più al supermercato per comprare ortofrutta dell’agricoltura “bio”, siamo pronti a sacrificare ore di sonno e a svegliarci la mattina già esausti per tener dietro agli impegni di lavoro. Una dieta sana non cancella la deprivazione di sonno. Sono in gioco perfino le vite umane, in quei mestieri ad alta responsabilità come il chirurgo, il guidatore di un Tir o il macchinista di un treno. Una ricerca dell’università di Stanford ha dimostrato che 40 minuti di siesta al giorno migliorano i risultati dei controllori di volo nei test sulla vigilanza e sulla rapidità nelle reazioni a una crisi.
La grande crisi economica inizialmente ha giocato contro: ha rafforzato pregiudizi antichi, visioni anacronistiche, culture aziendali arretrate. In una recessione il primo impatto, per la paura di essere licenziati, è quello di “eccellere” agli occhi dei propri capi dando dimostrazioni di iperproduttività. Nel 2012, secondo una ricerca di Harris Interactive, i lavoratori americani hanno rinunciato in media a 9 giorni di vacanza a testa. Il presenzialismo a oltranza, il sacrificio delle ferie, il fare le ore piccole in ufficio con la luce accesa perché i capi ti vedano: è il riflesso di autodifesa davanti all’incubo della disoccupazione. Ma non è così che si costruiscono le storie di vero successo: né individuali né aziendali.
La nuova dottrina viene codificata in una serie di Comandamenti per Imprese di Successo, sul blog della Harvard Business Review. Eccone alcuni. Si comincia da un valore fondamentale: «Impegnatevi a pagare stipendi equi e dignitosi a ogni dipendente ». Seguono regole di qualità della vita: «Progettate uffici comodi, confortevoli, allegri, rilassanti. Fornite cibo sano. Prevedete dei luoghi per il riposo diurno. Una palestra in azienda. Incentivi e aiuti per chi vuole rimettersi a studiare». Non è un’utopia, il quartier generale di Google nella Silicon Valley si avvicina a questo modello ideale. I risultati si vedono, in termini di produttività, creatività, profitti, crescita dell’occupazione.
Schwartz nella sua seconda vita come consulente aziendale ha creato un modello semplice per esaminare il livello di energia dei dipendenti. Si chiama “energy audit”, copia la stessa terminologia usata per fare il “check up” tradizionale sull’efficienza di un’organizzazione aziendale. Ciascuno di noi può cimentarsi, sul sito www.theenergyproject. com/energyaudit, rispondendo alle domande. A me sono bastati cinque minuti. Bocciato. Me la cavo in energia “spirituale” (60%), ma crollo nelle altre tre categorie (fisica, emotiva, mentale) e la media complessiva mi scende al 40%. Finito questoarticolo, s’impone una siesta.