Morya Longo; Marigia Mangano, Il Sole 24 Ore 14/2/2013, 14 febbraio 2013
CORRUZIONE E REATI FINANZIARI, OLTRE 5MILA DENUNCE IN ITALIA
Quasi 5.500 colletti bianchi denunciati dalla Guardia di Finanza in Italia per reati bancari, finanziari, societari e fallimentari nel solo 2012: mille in più rispetto allo scorso anno. Più di 500 persone arrestate, 200 milioni di beni sequestrati per reati finanziari, 34 denunce di market abuse, 33 per ostacolo all’attività di vigilanza. Frodi societarie in aumento: le più diffuse nel 2012 hanno a che vedere con conflitti d’interessi, corruzione e concussione. Metà delle aziende quotate a Piazza Affari, in termini di capitalizzazione, sotto inchiesta da parte delle Procure di mezza Italia. Incrociando i dati della Guardia di Finanza e della agenzia investigativa Kroll con le ultime cronache finanziarie, emerge un quadro preciso della situazione italiana: gran parte del mondo finanziario è al centro di pesanti scandali che hanno portato a decapitare i vertici di aziende di spicco dell’industria italiana.
Lo dicono i numeri, dato le società nel mirino delle Procure valgono in Borsa qualcosa come 150 miliardi di euro. Questo rischia di ledere ulteriormente non solo i risparmiatori, ma anche la credibilità del sistema Italia: già oggi il Paese è considerato, secondo Transparency international, il secondo più corrotto in Europa (dopo la Grecia); è al settantatreesimo posto al mondo, secondo la Banca mondiale, per la facilità di fare impresa. Gli ultimi scandali rischiano di aggravare ulteriormente la posizione del Paese nelle classifiche nere. Eppure negli ultimi anni in Italia, in Europa e nel mondo intero sono state scritte e riscritte le regole dei mercati finanziari, nel tentativo di renderli più trasparenti e meno manipolabili: tentativo evidentemente fallito. Vuoi per l’opacità degli stessi mercati, vuoi per la complessità di strumenti finanziari sempre più sofisticati.
Uno degli ultimi casi, Mps, ne è la dimostrazione: le perdite di titoli strutturati come Santorini, Alexandria e Nota Italia sono state abilmente nascoste nei bilanci di Rocca Salimbeni senza che Bankitalia, Consob, revisori e sindaci ne fossero a conoscenza. Ma per Siena, si sa, il capitolo è molto più ampio, dato che oltre al tema strettamente finanziario, le indagini in corso abbracciano anche la possibilità che nell’ambito dell’acquisizione di Antonveneta, fatta nel 2007, siano transitate maxi tangenti. Quelle stesse tangenti, ancora tutte da verificare, che oggi gettano un’ombra su società del calibro di Eni, Saipem e per ultimo Finmeccanica, il cui presidente Giuseppe Orsi è finito in manette per le tangenti legate a una commessa indiana di elicotteri.
Ma a parte la cronaca recente, c’è una lunga serie di società quotate in Borsa che ormai da tempo deve fare i conti con inchieste aperte dai Pm. Il caso di Fondiaria Sai, passata sotto la proprietà di Unipol, è nel mirino del Pm Luigi Orsi per vari reati tra cui ostacolo alla vigilanza e aggiotaggio. Contemporaneamente sul gruppo assicurativo si muove anche la Procura di Torino per i reati di falso in bilancio. Oppure spiccano i casi di Impregilo (ipotesi di acquisto di concerto tra l’imprenditore Pietro Salini e il fondo Amber); Bpm ( su cui è in corso una inchiesta della procura milanese sui passati vertici della banca); infine inchieste penali hanno toccato anche UniCredit (il caso Brontos), Parmalat (il presunto «scippo» da parte di Lactalis della cassa dell’ex impero del latte), e altri gruppi.
Ma non sono solo i pesci grossi sotto il faro degli inquirenti. Come dimostrano i dati della Guardia di Finanza, i casi di corruzione, concussione e reati finanziari sono in continuo aumento. Questo, si potrebbe obiettare, accade in tutto il mondo. Vero. Quello che contraddistingue l’Italia, però, è una certa "assuefazione". Nel resto del mondo, per esempio, le aziende molto spesso incaricano società di investigazione per scoprire se i propri dipendenti le stiano frodando, oppure se i concorrenti abbiano pagato tangenti per ottenere appalti. In Italia non accade mai. «Lavoro alla Kroll da 10 anni – spiega infatti Marianna Vintiadis, country manager di Kroll in Italia –, e non è mai capitato che un’azienda italiana ci chiedesse di indagare su casi di corruzione. È l’unico Paese dove questo non accade. Piuttosto, sono le imprese estere che ci chiedono di indagare sulle aziende italiane». La corruzione sarà anche globale, ma l’omertà è tutta italiana.