Paolo Bricco; Gianni Dragoni, Il Sole 24 Ore 14/2/2013, 14 febbraio 2013
QUEL MOTORE DELL’ITALIA MANIFATTURIERA
[due pezzi]
Negli ultimi vent’anni l’Italia è stata segnata dalla crisi del paradigma della grande impresa. Finmeccanica, che storicamente subisce le interferenze della politica e gli episodi di mala gestio di una dirigenza che si muove su mercati in cui le tangenti si chiamano mediazioni, rappresenta una delle ultime grandi strutture tecno-industriali del Paese.
L’arresto di Orsi e lo scandalo indiano scuotono dunque il corpo industriale di una realtà che, nella sua dimensione strategica e tecnologica, è insieme pervasivamente internazionalizzata e profondamente radicata nel paesaggio manifatturiero italiano.
Secondo R&S Mediobanca, su 185 stabilimenti produttivi sparsi in tutto il mondo, 75 si trovano in Italia. Giusto per citare i principali, Alenia Aeronautica produce strutture di velivoli da trasporto e da combattimento in Piemonte (a Torino), in Campania (a Nola e a Pomigliano d’Arco) e in Puglia (a Grottaglie, per i componenti). Agusta realizza elicotteri in Lombardia (a Cascina Costa di Samarate e a Vergiate) e in Puglia (a Brindisi). Nella difesa Oto Melara concepisce i suoi sistemi d’arma terrestri, navali e aereonautici in Lombardia (a Brescia) e in Liguria (a La Spezia). Selex Galileo - apparati spaziali e radar - è in Abruzzo (a Carsoli), in Friuli Venezia Giulia (a Ronchi dei Legionari) e nel Lazio (a Pomezia). La Whitehead Alenia Sistemi Subacquei fa siluri e sistemi per il combattimento sottomarino in Toscana (a Livorno) e in Campania (a Pozzuoli). Telespazio ha centri spaziali in Abruzzo (a Conca del Fucino), in Lombardia (a Gera Lario), in Sicilia (a Scanzano) e in Basilicata (a Matera).
Dunque, la cartina di Finmeccanica è sovrapponibile alla cartina del Paese. Sempre secondo R&S Mediobanca, i dipendenti sono 70.474 (dati 2011): 2.208 dirigenti, 50.070 fra impiegati e quadri e 18.196 fra operai e tecnici. In un’ottica consolidata di gruppo, il fatturato per dipendente è pari a 242mila euro, il costo del lavoro medio è di 65mila euro e il valore aggiunto netto espresso da ciascun lavoratore è di 76mila euro. In Italia Finmeccanica ha poco più di 40mila addetti. Su 17,318 miliardi di euro di fatturato netto registrato nel 2011, sono riferibili direttamente all’Italia 3,436 miliardi di euro. Peraltro, l’incidenza del nostro Paese sui ricavi è in flessione: l’anno scorso è stata pari al 19,84%, nel 2010 era del 20,27%, nel 2009 del 21,86% e nel 2008 del 25 per cento.
Con i suoi punti più avanzati - gli aerei da addestramento e gli elicotteri, i sistemi elettronici integrati per la difesa e le nicchie nei materiali tipo il carbonio nelle aereostrutture - e con il collegamento diretto fra fabbrica e innovazione, Finmeccanica costituisce una delle ossature produttive e una delle innervature tecnologiche che riannodano i fili dell’Italia manifatturiera.
Proprio l’innovazione, in un Paese come l’Italia a bassissima intensità di Ricerca e Sviluppo formalizzata, costituisce uno dei tasselli essenziali nel mosaico Finmeccanica che, a sua volta, rappresenta una tessera imprescindibile nel mosaico italiano. Secondo la riclassificazione di R&S Mediobanca, le spese in Ricerca e Sviluppo, nel 2011, sono ammontate all’11,7% del fatturato netto, attestandosi dunque a 2,02 miliardi di euro. Nel 2010, sono state pari a 2,03 miliardi di euro (il 10,9% dei ricavi), nel 2009 a 1,98 miliardi di euro (il 10,9%), nel 2008 a 1,8 miliardi di euro (il 12%) e nel 2007 a 1,84 miliardi di euro (il 13,7%). Alla fine, negli ultimi cinque anni Finmeccanica ha investito, in Ricerca e Sviluppo, 9,67 miliardi di euro.
Secondo una elaborazione del Ceris-Cnr, se la Ricerca e Sviluppo italiana fatta dalle imprese è pari a 10,5 miliardi di euro all’anno, ecco che l’innovazione formalizzata di tutto il gruppo Finmeccanica vale un quinto di quella fatta da tutto il sistema industriale italiano.
Questa capacità di concentrare ingenti risorse sulll’innovazione tecno-industriale va inquadrata in un trend storico di crescente (e inesorabile) riduzione del peso della grande impresa negli equilibri economici nazionali: nel 1991 in Italia, secondo l’ufficio studi di Confindustria, le aziende con oltre mille addetti erano 241 e avevano in tutto 778mila occupati; nel 2010, stando invece all’Istat, sono scese a 179 con 442mila occupati. Dunque, se la prospettiva di medio e lungo periodo è quello di una articolazione produttiva sempre meno centrata sulle stutture industriali robuste e organizzate e sempre più basata sulla piccola impresa e sui meccanismi dell’economia fluida e informale, ecco che assume una importanza relativa ancora maggiore la dinamica della grande impresa italiana. Anche perché il problema è che, nel complesso e paradossale gioco che vede in questi settori high tech fondersi la trasnazionalità del business con la verticalizzazione delle organizzazioni industriali, le cose buone e le cose cattive che capitano all’interno dei big player tendono a ripercuotersi sull’intero sistema nazionale.
Finmeccanica, soprattutto nei sistemi elettronici e in alcuni segmenti dei materiali, è prossima alla frontiera tecnologica: la sottile striscia condivisa da scienza e industria dove i laboratori concepiscono oggi quanto verrà realizzato domani nelle fabbriche, per diventare dopo domani patrimonio comune nella vita quotidiana di tutti noi. Se le cose vanno bene, Finmeccanica trasferisce alla catena della fornitura competenza e risorse che, poi, come nella fluido-dinamica e nei sistemi aperti, tendono a propagarsi nel resto del tessuto produttivo irrorandone tutti i gangli. Se, invece, le cose vanno male, questo flusso si interrompe.
Nei prossimi mesi gli occhi di tutti gli osservatori sono puntati sulla catena della fornitura che Finmeccanica ha costruito (e razionalizzato) negli ultimi anni. Secondo uno studio degli economisti della Scuola Superiore Sant’Anna, pubblicato fra gli occasional paper del centro studi di Finmeccanica, i fornitori italiani del gruppo sono poco più di 5.700. Il 35% di questi, cioè circa 2mila, si possono considerare technology-based. Imprese a buon contenuto tecnologico, che assolvono compiti precisi nella fisiologia industriale di Finmeccanica.
Questa filiera, per la maggior parte, è al servizio soprattutto di quest’ultima. In altri settori, come l’automotive, le piattaforme produttive nazionali tendono a integrarsi in un unicum pan-europeo. In questo comparto, no. I fornitori italiani lavorano in particolare con il big player italiano. I francesi con la francese Thales. I tedeschi con la holding europea, a partecipazione tedesca, Eads.
Dunque, se Finmeccanica ha il raffreddore, al sistema industriale italiano può venire la febbre. E, questa volta, Finmeccanica non ha solo il raffreddore.
DEBITI, ESUBERI E CESSIONI I NODI IRRISOLTI–
Gianni Dragoni
Meno ordini e più debiti. La tendenza emersa dai conti Finmeccanica nei primi nove mesi del 2012 è il punto di partenza per leggere quelli che si annunciano tempi difficili. Ci sono diverse incognite industriali, dalla SuperSelex con gli esuberi non ancora dichiarati stimati in alcune migliaia, alla ristrutturazione di Alenia Aermacchi che potrebbe essere colpita dalla sospensione delle consegne del Boeing 787.
Poi ci sono le perdite dell’AnsaldoBreda: si trascinano da anni senza soluzione e con difficoltà che vengono puntualmente addebitate al passato. Ma la sensazione è che il problema della società ferroviaria di Pistoia e Napoli non sia mai stato affrontato con adeguato impegno in un gruppo votato all’industria delle armi e dell’aerospazio, pur con l’isola felice di Ansaldo Sts (segnalamento ferroviario) e dell’Ansaldo Energia.
Tempi difficili attendono Finmeccanica, con i suoi 68mila dipendenti e i 438mila azionisti che fanno compagnia al ministero dell’Economia, il padrone con il 30,2% del capitale. In Piazza Affari ieri c’è stato un altro tonfo, -4,08% a 4,234 euro, a questo corrisponde un valore del gruppo in Borsa di soli 2.430 milioni di euro. Le difficoltà aumenteranno per il colpo all’immagine inferto dall’arresto per corruzione internazionale del numero uno, Giuseppe Orsi, al quale ieri sono stati revocati dal consiglio i poteri di gestione.
I concorrenti stranieri sono già pronti, lo fanno da tempo per le indagini che avvolgono il gruppo e diverse società, a sfruttare la caduta d’immagine, anche se gli esempi di indagini per corruzione in corso toccano altri gruppi dell’aerospazio, come la britannica Rolls-Royce che produce motori per aerei, la società franco-tedesca Eads, casa madre di Airbus, toccata da sospetti di mazzette nella vendita dei caccia Eurofighter all’Austria, oppure la britannica Bae Systems, ripetutamente sfiorata da sospetti di tangenti versate per la vendita di armi in mezzo mondo, con una particolare predisposizione verso i Paesi arabi.
Tuttavia il motto "mal comune mezzo gaudio" non può essere una consolazione per Finmeccanica, anche perché ai concorrenti, almeno adesso, non è capitato di vedersi arrestare il capoazienda nella pienezza dei suoi poteri.
Già nel terzo trimestre del 2012 gli ordini raccolti dalle aziende del gruppo Finmeccanica, pari a 2,9 miliardi di euro, sono diminuiti del 3% rispetto allo stesso periodo del 2011. Nei primi nove mesi l’anno scorso gli ordini sono stati 10,65 miliardi, gli stessi del corrispondente periodo 2011, ma sono stati inferiori ai ricavi sviluppati da gennaio a settembre 2012, pari a 12,18 miliardi. Questo significa che si è assottigliato il portafoglio ordini, cioè il lavoro per le fabbriche, anche se il gruppo al 30 settembre dichiarava un portafoglio in grado di garantire oltre due anni e mezzo di produzione, in totale 44,7 miliardi.
Bisogna andare però oltre questo confronto per capire l’indebolimento commerciale del gruppo: gli ordini del 2011 erano già in calo rispetto al 2010, l’anno con il quale è più corretto fare un confronto. Infatti nell’intero 2011 le commesse ricevute dalle imprese del gruppo sono state 17,43 miliardi, circa 5 miliardi in meno del 2010 (-22,4%). Questo è il primo problema che ha di fronte il nuovo amministratore delegato, Alessandro Pansa, che ben conosce il gruppo nel quale lavora da 12 anni. L’altro problema ben visibile nelle cifre di Finmeccanica è la crescita dell’indebitamento e l’appesantimento della situazione finanziaria. Al 30 settembre scorso i debiti finanziari netti avevano raggiunto i 4.853 milioni, in crescita del 4% sulla stessa data del 2011 (erano 4.665 milioni). Inoltre i debiti netti avevano superato di 164 milioni il patrimonio netto, pari a 4.689 milioni, l’indicatore considerato prudenziale per mantenere l’equilibrio patrimoniale, una sorta di livello di guardia che è meglio non superare. Di solito il livello dei debiti scende a fine anno perché Finmeccanica incassa i crediti dal ministero della Difesa e altri clienti pubblici italiani, ma nello stesso tempo fa anche operazioni finanziarie per abbattere il debito. Le indiscrezioni dicono però che i debiti finanziari netti a fine 2012 dovrebbero superare il livello di fine 2011, pari a 3.443 milioni, importo che già superava di 310 milioni quello di fine 2010. E poiché non è stato centrato l’obiettivo, approvato dal cda nel novembre 2011, di vendere partecipazioni di minoranza e imprese nel settore civile con l’incasso di un miliardo, la situazione finanziaria del gruppo esce appesantita dal tribolato esercizio 2012.
Il nuovo mandato affidato a Pansa parte dal rebus delle cessioni e in particolare da quella più controversa, Ansaldo Energia. I candidati all’acquisto sono due gruppi coreani, Samsung e Doosan, mentre si è defilata ma non ha annunciato il ritiro la tedesca Siemens, sulla quale Orsi puntava per vendere con profitto l’azienda genovese guidata da Giuseppe Zampini, si era parlato di una valorizzazione di 1,3 miliardi data dai tedeschi a tutta l’Ansaldo (Finmeccanica possiede il 55%). La politica che ha ostacolato la vendita (e temuta svendita, come in molti precedenti anche nelle privatizzazioni) di un pezzo della tecnologia italiana a gruppi stranieri, comprese le perplessità espresse dal segretario del Pd Pier Luigi Bersani, lascerà fare a Pansa quello che non ha consentito a Orsi? Oppure Pansa, se vorrà confermare questo piano, saprà confezionare una diversa ricetta, anche con il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti o di un suo braccio (Fondo strategico italiano o Fintecna)? Il che significherebbe spostare un pezzo di industria da una parte (Finmeccanica) all’altra (Cdp o sue propaggini) dello Stato, utilizzando il risparmio postale degli italiani, risorse che non sono infinite e sono sempre un debito.
Altre incognite nel gruppo non si possono risolvere con uno scambio di figurine a tavolino o un gioco delle tre carte di tipo finanziario. Il dilemma è la SuperSelex, la società unica creata nel 2012 per eliminare le sovrapposizioni e i disordini tra le molte società dell’elettronica e avionica in Italia e in Europa, il cuore dell’industria della difesa del futuro, vale circa tre miliardi di euro di ricavi e più di 18mila dipendenti. La nuova holding è stata creata, si chiama Selex Es, c’è il vertice che sta lavorando guidato da un manager tra i più stimati del gruppo, Fabrizio Giulianini. Però il piano industriale che doveva vedere la luce nel 2012 è rimasto nei cassetti. Il piano dovrebbe indicare quali siti industriali verranno chiusi e quanti sono gli esuberi, secondo stime sindacali potrebbero essere 3mila, alcuni temono fino a 5mila, cifre smentite da Finmeccanica, che però non dice quante sono le eccedenze. «Abbiamo già il problema dell’Ansaldo Energia, rimandiamo gli esuberi SuperSelex», ha detto nelle scorse settimane un top manager del gruppo al Sole 24 Ore. Dopo le elezioni, la bomba a orologeria potrebbe esplodere nelle mani del nuovo governo.
E poi c’è l’Alenia Aermacchi. È in corso il piano di ristrutturazione affidato al presidente Amedeo Caporaletti, il manager che ha risanato e rilanciato l’industria degli elicotteri Agusta, con Giuseppe Giordo amministratore delegato. Dopo la faticosa messa a punto degli stabilimenti pugliesi di Grottaglie (Taranto) e Foggia, impegnati nella produzione di componenti di fusoliera e dello stabilizzatore di coda in fibra di carbonio per il nuovo Boeing 787, sull’Alenia rischia di cadere la tegola dei problemi del Dreamliner. È bloccato a terra in tutto il mondo dalla metà di gennaio per i difetti nelle batterie agli ioni di litio che hanno causato incendi a bordo di questi aerei. Le consegne del B787 sono bloccate, non si sa per quanto tempo, in attesa di una soluzione al problema. Le batterie sono prodotte da un’azienda giapponese, GS Yuasa e integrate nel sistema elettrico dalla francese Thales, dunque il difetto non è nelle produzioni fatte da Alenia. Ma se le consegne del jet non si sbloccano è prevedibile che ci sarà un rallentamento o uno stop alla produzione. Con effetti pesanti anche in Puglia e su Alenia perché gli ordini del B787 rappresentano il 16% del portafoglio ordini dell’azienda, pari a complessivi 8.945 milioni al 30 settembre 2012.
Gianni Dragoni