Paolo Bracalini; Gian Maria De Francesco, il Giornale 13/2/2013, 13 febbraio 2013
QUELLA LOTTA SENZA FINE TRA BAZOLI E DELLA VALLE SUL DESTINO DEL «CORRIERE»
Il piano «lacrime e sangue» di Rcs, firmato dall’ad Pietro Scott Jovane, sconta i 300 milioni di svalutazioni della controllata spagnola Recoletos nel 2011 e i 260 del primo semestre 2012. Un aumento di capitale da 400 milioni e la rinuncia alla sede storica del Corriere di via Solferino sono misure drastiche che mettono in discussione lo stesso direttore del quotidiano Ferruccio de Bortoli, difensore dello status quo .
Il problema, tuttavia, è un altro. È la stessa Rcs a essere un paradosso. Da quando nel 1984 il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, la salvò dal naufragio del Banco Ambrosiano, essa è sempre stata una replica in sedicesimo del «salotto buono» della finanza italiana: da Fiat a Mediobanca a Pirelli, Pesenti e Generali. E oggi anche con le cooperativerosse di Unipol che hanno acquisito Fonsai.
Un capitalismo di relazione racchiuso in un patto di sindacato, ma che finanziariamente non rischia in prima persona. A differenza di Diego Della Valle, che da quel consesso è rumorosamente uscito l’anno scorso, ingaggiando una nuova battaglia. Dopo l’estromissione di Cesare Geronzi dalle Generali, negli ultimi sei mesi ha aperto una nuova tenzone, questa volta con Giovanni Bazoli. E non passa giorno, e soprattutto apparizione televisiva, che l’imprenditore marchigiano non si scagli contro il presidente di Intesa sollecitandolo a «fare un passo indietro», ossia a disimpegnarsi dalla cura del Corriere del quale è il nume tutelare (non a caso il primo azionista fuori patto Giuseppe Rotelli gli è molto vicino). In questo scontro nessuno è risparmiato, nemmeno Fiat: Elkann e Marchionne sono stati bollati come «furbetti cosmopoliti».
Perché di Della Valle tutto si può dire, tranne che quell’8,8% di Rcs non l’abbia conquistato con i propri capitali, con le risorse rivenienti dal successo di Tod’s. E quella quota non l’ha ereditata né l’amministra per diritto divino. Gli strali verso la finanza cattolica ( Bazoli) e di quella laica ( la Mediobanca di Alberto Nagel). Lo scontro di potere, però, ha un limite fisico nei numeri del piano di Scott Jovane. È difficile realizzare un aumento pari al 50% della capitalizzazione di Borsa. Ancor più difficile cedere un immobile (per quanto nella centralissima Brera) con la crisi del mattone che c’è.Nessuno, intende spostarsi di un millimetro. E col tempo, si possono disegnare alleanze che ora sembra improbabile persino vagheggiare. Lo stesso successore designato di de Bortoli, il direttore della Stampa Mario Calabresi, potrebbe non essere più tale in questo gioco di specchi.
C’è un altro elemento da notare. I conti in rosso di Rcs riportano a nomi e personaggi dell’affaire Antonveneta-Mps. Nell’aprile 2007, infatti, il gruppo dell’ad Antonello Perricone,acquistò Recoletos, società spagnola guidata da Jaime Castellanos. La società fu valutata da Rcs 1,1 miliardi di euro, circa il 10% in più di quanto venne valutata dalla britannica Pearson quando la vendette nel 2004.
Castellanos altri non è che il cognato di Emilio Botín, ovvero il numero uno di Banco Santander che qualche mese più tardi rifila a Mps la banca Antonveneta per 9 miliardi di euro, avendola pagata 6,6 poco tempo prima. Nell’assemblea straordinaria di Rcs a maggio 2012, un azionista chiese se «nel 2006/2007 esistevano potenziali conflitti di interessi tra soci del patto, management e advisor di Rcs con Castellanos e Botín?». La risposta del cda è secca: «No».
Nessuna menzione del fatto che Santander fosse (ed è) uno degli sponsor in F1 della Ferrari, ovvero gruppo Fiat, azionista di Rcs. O che Ana Patricia Botín, figlia del patron di Santander e cognato di quello di Recoletos, fino al 2011 sia stata amministratrice di Assicurazioni Generali, altro azionista di Rcs. O che una delle due banche d’affari che hanno fatto da advisor dell’operazione sia stata la Banca Leonardo di Gerardo Braggiotti, ex Lazard, il cui capo in Spagna era proprio lo stesso Jaime Castellanos. Sull’altra banca consigliera di Rcs si intrecciano le analogie con Mps-Antonveneta. Perché chi stimò per Rcs in 1,1 miliardi di euro il valore di Recoletos fu Mediobanca, advisor di Mps in Antonveneta. Che si è dimostrata un fiasco. Come Recoletos.