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 2013  febbraio 14 Giovedì calendario

«NON PERDONERO’ MAI JUCKER, SCARCERATO PER INGIUSTIZIA» —

Non c’è nulla che possa lenire il dolore di una madre che ha perso la figlia, trucidata barbaramente e senza un motivo apparente dall’uomo con il quale stava progettando un futuro. Non può farlo certamente il tempo. Patrizia Rota è una donna riservata, come d’altronde tutta la famiglia, rappresentante della buona borghesia milanese. Ha sempre vissuto con dignitosa compostezza il suo dolore, sin dal 20 luglio 2002, quando sua figlia, Alenya Bortolotto, fu uccisa a 26 anni da Ruggero Jucker in un elegante appartamento nel centro di Milano. Ora quell’uomo ha pagato il suo debito con la giustizia, diventato negli anni sempre più magro: è uscito il 21 gennaio dal carcere, dopo appena 10 anni e mezzo di reclusione. Condannato nel 2003 in primo grado a 30 anni con il rito abbreviato, grazie al patteggiamento, ancora possibile in appello, e a un diverso bilanciamento tra attenuanti e aggravanti, nel 2005 si vide ridurre la pena a 16 anni di carcere e tre di casa di cura. L’indulto del 2006 e la «liberazione anticipata» (tre mesi ogni anno scontato) garantita a tutti i reclusi che non violano la buona condotta, hanno fatto precipitare il conto totale a soli 10 anni e mezzo, con il tribunale di sorveglianza che ha annullato il trattamento post carcere perché l’ex imprenditore del catering si è sottoposto a cure psichiatriche in cella. Ora Jucker, a 46 anni, ha tutto il tempo di ricostruirsi una vita.
L’assassino di sua figlia ora è libero. Si aspettava così presto?
«No, sinceramente no, ma la legge è quella che è».
Cosa avete provato in famiglia sapendo che è stato rimesso in libertà?
«Siamo attoniti. Purtroppo la legge è stata fatta così e, di fronte a questo epilogo infausto, non possiamo fare altro che restare, appunto, attoniti».
Potrebbe incontrarlo per strada, l’uomo. La turba? La preoccupa?
«Non mi preoccupa...».
Ritiene che non sia stata fatta giustizia fino in fondo?
«Io non credo che sia possibile fare giustizia per un atto tremendo come quello che è stato compiuto e nessun processo e nessuna condanna potrà mai colmare il nostro dolore. Avevamo auspicato una pena molto più pesante, almeno quanto quella del primo grado, purtroppo abbiamo dovuto accettare la riduzione in appello. Credo proprio che in questo caso la giustizia sia stata profondamente ingiusta. Sapevamo dalla sentenza d’appello quali dovevano essere i tempi, ma neanche quelli sono stati rispettati».
Prova sentimenti di vendetta o di odio?
«No. È tanto profondo e intenso l’amore per Alenya che questi sentimenti non trovano spazio in noi».
Una storia tragica. Ora è definitivamente chiusa?
«Non per noi che soffriamo per la mancanza di Alenya, anche se la portiamo per sempre dentro di noi. Lei ci dà la forza e ci guida. In ogni momento della vita la chiamiamo».
Lei, l’altra sua figlia Muriel e Alenya eravate molto legate.
«Un legame profondo la cui rottura, specie per Muriel, rappresenta un vuoto incolmabile. Tra loro c’era una grande unione e un grande amore».
Potrà mai perdonare chi le ha ucciso la figlia?
La voce della signora Patrizia diventa grave e detta le parole:
«Parlo come madre, questo è il mio pensiero: per l’orrore, per la disperazione, per la sofferenza, per il mancato profondo sentimento di Pietà e Misericordia, non avrà il mio perdono».
Giuseppe Guastella