Pierluigi Battisti, Corriere della Sera 14/02/2013, 14 febbraio 2013
DAL «PAPATO TECNICO» AL «FESTIVAL DI SAN PIETRO»
Era inevitabile. Una notizia così sconvolgente non poteva che aizzare il chiacchiericcio sgangherato del più verboso dei mondi paralleli: quello dei social network. Il Papa che si dimette: un evento inaudito, che accorcia le distanze tra il mondo e la sacralità intoccabile di una dimensione che con il mondo non si mescola. O non si mescolava. E basta seguire l’esplosione che su Twitter e Facebook ha fatto seguito allo straordinario annuncio papale, per capire che qualcosa è cambiato nel modo di percepire le cose importanti della Storia, fino a fare della Storia una loquace e salottiera Storiella.
Inevitabile, in un mondo immerso nell’attimo e nell’effimero, dove l’attualità della notizia si brucia in un cicaleccio che scardina gerarchie consolidate e gli stessi confini tra ciò che è «serio» e ciò che è leggero e volatile, che il gesto papale venisse rimpicciolito e ricondotto alle dimensioni del presente. E in particolare a due sfere: quella delle imminenti elezioni e quella dell’happening sanremese. Anzi, da Sanremo oramai l’hashtag di riferimento è oramai diventato #sanctusremus, con evidente allusione al latino delle dimissioni: «Chi vincerà al festival di San Pietro?». E in politica, il gesto papale trova nella figura di Berlusconi, e del suo smisurato narcisismo, il termine più consueto e scontato di paragone. Dopo qualche minuto dall’annuncio di Benedetto XVI appare su Facebook una foto taroccata di Berlusconi vestito da Papa che proclama: «Restituiremo le indulgenze». E poi, come una cascata inarrestabile. «Il Papa si è dimesso, ora un papato tecnico». «Reazioni politiche. Monti: sono scosso. Vendola: sono turbato. Casini: sono sconvolto. Berlusconi: sono pronto». «Berlusconi avvistato mentre acquistava mocassini rossi». In un legame tra politica e Sanremo: «Berlusconi: le dimissioni andavano spostate». Sul tema elettorale, i social network non hanno risparmiato freddure e ammiccamenti: «Giannino: "le usa ancora quelle stole?"»; «Comincia la campagna elettorale dei cardinali: alcuni si sono fatti immortalare con cagnolini in braccio»; «In Conclave è consentito il voto disgiunto». Si parla di «vaticanarie». Si riaccendono fuochi polemici non del tutto sopiti tra bersaniani e renziani: «Può votare anche chi non ha votato al primo turno»; «Il Papa si dimette il 28 febbraio. Stumpo (Pd): "lo statuto non lo prevede"».
E’ un pulviscolo di facezie, di boutades, di giochi di parole che danno l’impressione a chi partecipa al gioco di essere un frammento nel Grande Discorso che accompagna una svolta storica. A volte si raggiungono vette di irriferibili volgarità, di pesantezze oscene. Altre volte ci si limita alla quisquilia da bar. Ma è un bar gigantesco, l’osteria Twitter o la trattoria Facebook in cui ogni immagine viene piegata, ritoccata con il Photoshop, ricontestualizzata. Quanti Berlusconi vestiti di bianco circolano in questi giorni. O l’immagine di Bersani seduto meditabondo a un tavolo con un boccale di birra a consolarlo e Joseph Ratzinger al suo fianco in abiti civili è un accostamento innocente o un’irriverenza intollerabile? Qualcuno, nella rete globale che si porta dietro arcaismi e superstizioni antiche, propone i numeri della smorfia, 32 «il Papa» e 17 «l’annuncio», qualcun altro suggerisce la combinazione del Lotto: 28, 2, 20, 13, come nella data delle dimissioni. Qualcun altro finge di fare il poeta, il pubblicitario, il critico calcistico.
«Il Papa si dimette il 28, ma per gli juventini il 30», si legge su Twitter riprendendo la rivendicazione bianconera delle «tre stelle vinte sul campo». C’è il battutista che si muove ai bordi dell’insolenza: «Mi dispiace devo andare, il mio posto è là». O dell’irriguardosità: «Solo la Nutella è per sempre». Quello che si esprime nel linguaggio sindacale: «Si vede che era un contratto a tempo determinato». Il fan del cinema profetico e ovviamente del plot di Habemus Papam: «Nanni Moretti meglio di Nostradamus». L’ossessionato dei simboli della cultura di massa che esprime ad alta voce il presunto pensiero del Papa dimissionario: «Ho sentito una canzone di Gigi D’Alessio e ho capito che Dio ci odia». Oppure: «Il Papa che lascia in anticipo è come il giocatore che esce all’ottantacinquesimo e si prende la standing ovation».
Al netto delle battute brutali e grevi, che qui vengono omesse per un omaggio al buongusto solitamente maltrattato nel pentolone dei social network, non si può negare che su Twitter e su Facebook la pulsione irresistibile ad «abbassare» e ad umanizzare la figura lontana e ieratica del Pontefice romano sia stata anche favorita dalla scelta dello stesso Benedetto XVI di aprire il suo account (bersagliato di offese e orrendi insulti nel corso di questi mesi e livelli inimmaginabili per tutte le figure pubbliche presenti su Twitter). E infatti, tranne sporadiche eccezioni, la gran massa di «twittatori» devoti della Chiesa romana non si è sentita oltraggiata da questo scombinato festival del motto di spirito più o meno riuscito. La signora che scrive: «Ma se invece di "terminare" l’anello di Benedetto, lo dessero a me?», riduce a sua misura un personaggio storico e rende pubbliche le celie che di solito sono molto apprezzate nelle cene un pò chic. Ma è davvero così un male? Un Male, con la M maiuscola?. E così chi scrive: «L’ha fatto perché non aveva abbastanza tempo per Twitter», lo scrive pensando che in fondo, per essere sbarcato anche lui nella sfera ribollente dove tutti dicono la propria senza sorveglianza e con grande passione per la Scemenza Globale, anche il Papa è «uno dei nostri». Scrive su Facebook uno dei battutisti più scatenati: «La fumata bianca stavolta si fa con la sigaretta elettronica». E’ la nuova moda, il nuovo tic, l’ultima trovata, la nuova cosa di cui tutti parlano, che viene applicata anche alle dimissioni del Papa. Un’alterità assoluta con le miserie del mondo si è appannata, forse anche per scelta e per volontà di non restare separati troppo rigidamente dallo spirito dei tempi. Uno spirito grossolano e ridanciano, dove anche un leggerissimo «Hanno ucciso l’uomo Ratzinger chi sia stato non si sa» può essere ripetuto all’infinito. Anzi, «ritwittato».
Pierluigi Battista