Massimo Franco, Corriere della Sera 14/02/2013, 14 febbraio 2013
SUBITO IL NUOVO PRESIDENTE IOR. BENEDETTO XVI FIRMA IL DECRETO
Potrebbe essere il primo atto dell’interregno inedito fra Benedetto XVI e il successore. «È possibile che nei prossimi giorni ci sarà la nomina del presidente dello Ior», ha annunciato ieri il portavoce della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi. L’indicazione è generica, ma in realtà il Papa avrebbe sottoscritto formalmente la scelta ieri sera. Si tratterebbe di un banchiere belga, il cui nome girava da una decina di giorni; e che arriverà dunque prima del 28 febbraio, giorno per il quale il Papa ha annunciato le proprie dimissioni; e a partire dal quale anche il vertice del «governo» vaticano sarà dimissionato. Significa che il pontefice eletto dal prossimo Conclave non avrà il problema di cercare un nuovo capo della «banca del Papa», come viene chiamato da tutti l’Istituto per le Opere di Religione. Lo aveva fatto capire il segretario di Stato, Tarcisio Bertone, parlando di una scelta condivisa e attesa da tempo.
Sul secondo aspetto, è difficile dargli torto. Lo Ior non ha un presidente dal 26 maggio del 2012, quando Ettore Gotti Tedeschi, fra l’altro rappresentante in Italia del gruppo bancario spagnolo Santander, fu sfiduciato all’unanimità e con parole ruvide. E in questi mesi, non è stato sostituito perché, secondo la versione ufficiosa, la struttura si era dimostrata abbastanza capace da reggere anche senza una figura di vertice. Ma a questo punto affiora qualche contraddizione tra la tesi dell’autosufficienza del consiglio d’amministrazione, e la volontà di togliere un’enorme castagna dal fuoco al successore di Benedetto XVI. Si sa che per trovare il profilo giusto, il Vaticano si è rivolto ai «cacciatori di teste» della Spencer & Stuart di Francoforte, una delle aziende di consulenza più prestigiose.
Ma il tocco internazionale non cancella la sensazione sgradevole di una nomenklatura ecclesiastica che mentre il Papa annuncia le dimissioni, si preoccupa di riempire le ultime caselle del potere: quasi avesse il presentimento che «dopo» non sarà più possibile. E comunque, se per quasi nove mesi non si è avvertita la necessità di nominare nessuno, perché farlo senza aspettare l’arrivo del nuovo pontefice? Può sembrare un’obiezione capziosa, sollevata da chi non perdona al «primo ministro» di Josef Ratzinger di avere accentrato il potere finanziario della Santa Sede nelle sue mani; e di avere infilato il Vaticano in operazioni grandiose ma un po’ arrischiate, come il tentativo di salvataggio dell’ospedale San Raffaele, con l’ambizione alla fine frustrata di creare un grande «polo sanitario» cattolico.
Al di là dei sospetti di strumentalità, più che plausibili, da parte di Bertone e dei suoi alleati, rimane tuttavia il mistero di una fretta improvvisa destinata a mettere il prossimo Papa davanti ad un fatto compiuto; e su uno dei temi più delicati che hanno segnato gli otto anni di pontificato tedesco. Il problema non riguarda naturalmente la persona designata, che sarebbe di nuovo un non italiano dopo molti anni dalla sua fondazione, voluta da Pio XII nel 1942, in piena seconda guerra mondiale. A lasciare interdetto qualche cardinale, e non solo, è la scelta dei tempi. L’impressione, infatti, è che sotto traccia ci si stia ponendo da tempo il problema del destino dell’Istituto. Si è parlato di un possibile cambio di nome, per cancellare ombre lunghe decenni e disseminate di scandali e misteri; e che lo fanno apparire, anche con qualche esagerazione, un «marchio negativo» per l’immagine della Santa Sede. Qualcuno è arrivato a ipotizzare che nel dopo-Ratzinger la Santa Sede potrebbe rivedere completamente un modo di operare nel mondo finanziario che le ha dato vantaggi ma anche creato un alone di opacità e di spregiudicatezza.
Un banchiere ricordava di recente un incontro di tanti anni fa con l’allora segretario di Stato vaticano, il cardinale Agostino Casaroli. Fu una discussione franca, come si dice in questi casi, su quello che lo Ior doveva essere o diventare; e perfino sul nome, ritenuto inappropriato dal banchiere perché, a suo avviso, non sembrava avere come obiettivo le «opere di religione». Casaroli ascoltò, forse annuì anche. Ma le cose, almeno all’apparenza, non sono cambiate in modo sostanziale. È vero che i dubbi più pesanti sono stati parzialmente chiariti quando nel luglio scorso il Vaticano ha ottenuto una promozione con riserva da parte di Moneyval: il comitato di esperti di antiriciclaggio e antiterrorismo, emanazione del Consiglio d’Europa, che valuta gli standard di affidabilità internazionale degli Stati attraverso il modo di operare delle sue banche.
Quel «placet» ha ridimensionato un po’ le polemiche sul grado di trasparenza dello Ior, alimentate dallo scontro conclusosi nel maggio scorso. E ha ridato corpo all’idea di una metamorfosi dell’Istituto, tale da incontrare l’approvazione della comunità finanziaria globale. Si è parlato di «patti lateranensi del XXI secolo», intendendo accordi stipulati non più solo con singoli Stati, ma appunto con le istituzioni sovranazionali di garanzia. L’operazione sta avendo risultati controversi, però. Le indagini della magistratura italiana che da un paio d’anni si sono concentrate su alcuni movimenti finanziari sospetti, e le frizioni con una Banca d’Italia che richiama al rispetto delle norme valutarie europee, simboleggiano una metamorfosi ancora da perfezionare.
L’ultimo incidente, piccolo ma fastidioso, e soprattutto costoso per le casse vaticane, è stato il blocco, durante le vacanze di Natale, dei pagamenti elettronici tramite carte di credito e Pos (points of sale), i «punti di vendita»: un ostacolo superato solo nelle ultime ore, quando lo Ior ha aggirato l’ostacolo ricorrendo ad una società svizzera specializzata in pagamenti elettronici e non soggetta alle restrizioni imposte dall’Unione europea contro il riciclaggio. D’altronde, se la Santa Sede non lo avesse fatto avrebbe perso, secondo calcoli per difetto, circa trentamila euro al giorno. La scappatoia, però, non garantisce rapporti migliori con Bankitalia e magistratura.
E, abbinata alle tensioni che covano sulle nomine al vertice dello Ior e agli scandali che lambiscono altre organizzazioni cattoliche, rischia di avere riflessi immediati dentro le cosiddette «Sacre Mura». Basti pensare ai dipendenti dell’Istituto dermatologico Italiano (IDI) di Roma che ieri protestavano davanti alla sede della Cei, perché non vengono pagati da mesi per la gestione disastrosa dell’ospedale, affidata a un religioso. Oppure i milioni di euro persi dai Salesiani in una contesa seguita ad un lascito ereditario. I soldi galleggiano come una minaccia di ulteriori divisioni e scambi di accuse in un mondo traumatizzato dall’«abdicazione» papale.
Il timore che l’uscita di scena di Benedetto XVI possa riaccendere e fare esplodere contrasti mai sopiti del tutto è concreto. Le immagini che accompagnano l’uscita di scena al rallentatore, lunga sedici giorni, del pontefice, sono perfino commoventi. Tv2000, la televisione dei vescovi italiani, accompagna ogni gesto del pontefice dimissionario, come si fa con un personaggio che sta per dissolversi. E si mostrano folle commosse di fedeli che lo salutano mentre attraversa sull’automobilina elettrica, stanco e emaciato, la navata della basilica di San Pietro. Ma è lo stesso Ratzinger che sempre ieri ha evocato una situazione segnata da conflitti latenti.
«Le divisioni ecclesiali deturpano la Chiesa. Bisogna superare le rivalità», ha detto alle 3500 persone presenti nell’aula Paolo VI. Ma si capiva che in realtà stava parlando a quella «classe dirigente» di religiosi, incapace di offrire, ormai da tempo, un’immagine di unità e di concordia; e che, nonostante l’insistenza accorata con la quale il pontefice dimissionario ripete di avere compiuto la scelta di fare un passo indietro «in piena libertà», continua a essere indicata come una delle cause della sua decisione senza precedenti. Così, grazie ai «cacciatori di teste» il Vaticano è riuscito a risolvere il rebus del vertice dello Ior, al netto delle polemiche in incubazione. Ma per la scelta di un pontefice che risollevi le sorti della Chiesa, occorrerà molto di più.
Massimo Franco