Pietro Del Re, la Repubblica 14/2/2013, 14 febbraio 2013
GIUNGLE, ABISSI E ANIMALI RARI IL MONDO CHE RESTA DA SCOPRIRE
TEMPI duri per gli esploratori. Anzitutto perché di luoghi sconosciuti e di macchie grigie sulle mappe geografiche ne rimangono ben poche. Poi perché gli scopritori di terre lontane e misteriose sono anch’essi vittime della crisi economica, dal momento che nessuno è più disposto a finanziare le loro spedizioni. Accade anche a
Pen Hadow, che l’ultimo
Newsweek
definisce come «il più grande esploratore vivente», e che racconta come a 50 anni, proprio per mancanza di fondi, sia stato costretto ad attaccare i guanti, o ne suo caso gli scarponi, al chiodo. Nel 2003, Hadow fu il primo uomo a raggiungere il Polo Nord da solo, a piedi, senza né cani né rifornimenti paracadutati dall’alto. Un exploit che all’epoca fu salutato come la prima ascesa dell’Everest senza ossigeno realizzata da Reinhold Messner nel 1978, o come la traversata del Pacifico a bordo della zattera Kon-Tiki da parte del norvegese Thor Heyerdahl quasi trent’anni prima.
Del resto, nell’era di Googlemaps o di quei satelliti militari in grado di fotografare ogni centimetro quadrato del globo terracqueo, può sembrare superfluo voler piantare una bandierina in una foresta o in un deserto, anche se ancora inviolati. Senza contare che il turismo cosiddetto estremo, sia esso di massa o d’élite, ha già colonizzato buona parte del pianeta, dalla giungla della
Nuova Guinea all’Antartide. Oggi si organizzano maratone nel Sahara, rally nelle giungle più sperdute, gite con gli sci sui ghiacciai della Groenlandia. Basti dire che ci sono agenzie che promettono di portarti perfino nello spazio.
È dunque finita per sempre l’epopea iniziata nell’Ottocento da quegli intrepidi esploratori, geografi e viaggiatori che hanno disegnato, raccontato
e fotografato gli angoli più remoti della Terra? Ed è dunque tristemente vero l’aforisma che pronunciò già nel 1931 il poeta Paul Valéry, e cioè che «il tempo del mondo finito comincia»? Secondo il professor Bernardino Ragni, zoologo dell’Università di Perugia, non tutto è perduto. Dice Ragni: «L’esploratore moderno ha semplicemente altri obiettivi rispetto ai suoi predecessori.
Mi riferisco, per esempio, a chi ancora organizza spedizioni per catturare un esemplare di un animale ancora poco studiato o recentemente scoperto, come il
Felis bieti,
il gatto selvatico delle montagne cinesi nelle fredde montagne dello Xinjang, o lo splendido leopardo nebuloso nelle isole della Sonda». Senza parlare, ovviamente, di quelle specie abissali, tra le quali primeggia l’elusivo calamaro gigante, mollusco che è stato recentemente fotografato, dopo anni di esplorazioni estremamente
profonde.
A proposito di Google Earth, quattro anni fa, dovendo studiare la biodiversità delle montagne del Mozambico, i tecnici dell’Istituto di agraria di Maputo usarono le foto scattate dal satellite. Un agronomo s’accorse allora che una montagna era d’un verde diverso dalle altre, più brillante e più smeraldino. Ipotizzò che in quel luogo vi fosse una foresta ancora vergine. Il primo sopralluogo confermò l’intuizione. Attorno a quel monte si estendeva una foresta primaria di settemila ettari, la più vasta giungla di montagna del sud dell’Africa. Nessuno, se non le popolazioni locali, l’aveva ancora attraversata. Una spedizione inglese vi ha scoperto un serpente sconosciuto, un paio di ranocchiette e dieci coloratissime farfalle.