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 2013  febbraio 14 Giovedì calendario

IL GRANDE BLUFF DI OAK FUND ECCO IL RAPPORTO PATACCA CHE DOVEVA INFANGARE I DS


Qual è la traduzione più corretta di Oak fund? Fondo della quercia, oppure fango sulla quercia? Il dossier segretissimo raccolto all’ombra della Telecom esiste davvero e parlava del conto estero segreto dei Ds? Oppure esiste e serviva solo a gettare fango sul partito d’opposizione a Silvio Berlusconi?

LA SECURITY E LE PAGINE
Innanzitutto si chiama “Op. Fondo”: operazione fondo. E ammonta a 79 pagine. Pagine che sarebbero dovute restare sepolte. Forse in modo da permettere a chiunque di parlare? Per la prima volta, facendo parte della complessa storia del processo Telecom, è stato possibile a
Repubblica
prenderle.
I fatti. La security Telecom, guidata da Giuliano Tavaroli, ex brigadiere dell’antiterrorismo dei carabinieri, era stata soprannominata nel vasto giro delle security aziendali italiane, «la banda Bassotti». Questo “Op. Fondo” da chi e per chi è stato commissionato? Da Marco Tronchetti Provera, leader di Pirelli? La procura milanese, ai tempi di Manlio Minale procuratore capo, ha girato alla larga dalla questione, ma indubbiamente “Tavola”, soprannome di Tavaroli, aveva raccolto informazioni a iosa su centinaia di persone, giornalisti, imprenditori, calciatori. Emerse e venne sequestrato un cd con i file illeciti. Tra questi c’è il dossier “Op. Fondo”.

IL CONTENUTO DI OAK FUND
Sembrerebbe diviso in nove parti, ma non è così: le parti che compaiono sono molte di meno. All’interno c’è moltissima fuffa, buona a far volume. Comincia con, in alto, la scritta “confidenziale — prima parte”. Al centro “Op. Fondo”. Data: febbraio 2002. Segue: «Premessa/ obiettivo. Con il presente documento siamo a trasmettervi le notizie emerse dall’attività di
intelligence ad
oggi espletata sul fondo comune di investimento Oak fund/Isole Cayman, con particolare riferimento alla ricerca dei responsabili e dei sottoscrittori del conto, oltre ad eventuali collegamenti con altri nominativi che potrebbero risultare d’interesse ». Bisognava indagare su
chi ci fosse in Oak, un fondo che aveva le azioni Bell, acquistate da Tronchetti Provera. Chi ci aveva dunque guadagnato e perché?
Oak è alle Cayman, dipende dalla lussemburghese Oak Finance Sa, «potendo così avvalersi della nota segretezza delle leggi del Lussemburgo». Quindi, «in via strettamente confidenziale, attraverso una mirata attività investigativa, sono stati identificati i direttori/gestori». E chi sono? I Ds? Macché: altre
società e «in via molto confidenziale siamo venuti a conoscenza che milioni di dollari Usa, oltre ad altre valute ed azioni, siano transitati attraverso conti intestati a Oak fund» e ad altre società.

SECONDA PARTE
Solo nella seconda parte, anche questa sotto il classico “Confidenziale”, spunta finalmente un nome italiano: Perini Roberto. È il rappresentante di una società di Lugano, che verrà
presto qualificata come “The Oak fund Lugano office” e «sembrerebbe a sua volta rappresentare svariate altre persone e società in corso d’identificazione ». Sin qui abbiamo una privata security aziendale, che non è forza di polizia, osservata mettere nel mirino investigativo un ignaro signore? Sarà lui «l’uomo della quercia»? La “banda bassotti” di Tavaroli fa accertamenti patrimoniali su Perini, «scopre» però che il suo reddito è principalmente da lavoro dipendente. E il reddito della moglie dipende dal fatto che è un medico. Legami con “Oak-quercia”? Zero, il dossier di questi 007 non ne trova.

IL RUOLO DI BAFFINO
Del resto delle 79 pagine, con uno sterminato elenco di inutili visure aziendali sui gruppi Gnutti e Colaninno, due possono interessare. Compare (è la pagina 9.905 del fascicolo processuale) la dizione «noto partito italiano», che non viene citato se non così. E alla pagina 9.943 «(...) confermano la persona di “baffino” quale beneficiario per il Partito, accreditando formalmente per la gestione, in sua vece, il Perini». Ma non c’è nulla di nulla, nemmeno un documento, a sostenere questa “patacca”.

LA MACCHINA DEL FANGO
Forse a qualcuno Oak fund apparirà quasi archeologia giornalistica. Ma è la “macchina del fango”: come per il caso Telekom Serbia, o come per l’ex direttore di
Avvenire
Dino Boffo. Una macchina vista ancora una volta da vicino, e purtroppo in ritardo, quando i danni sono stati fatti e i risultati ottenuti. Tavaroli, in un’intervista a Giuseppe D’Avanzo, aveva detto che la firma sul conto era di Piero Fassino. E poi, morto D’Avanzo, aveva tentato di smentire l’intervista. Lui e altri avevano parlato di documenti arrivati dall’estero, ma «con macchie di olio», e quindi illeggibili. Non ci sono, ma era stato possibile sparare a zero contro Massimo D’Alema, nonostante i reali proprietari, uno dei tre fratelli Magnoni, che navigano la finanza dai tempi di Michele Sindona, avesse a un certo punto detto: «Quel conto è nostro, il resto è una montatura». La montatura è andata avanti per anni e ancora oggi corre la “macchina del fango”.