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 2013  febbraio 14 Giovedì calendario

LE CENERI DEL RITORNO ALL’UMILT


IERI papa Benedetto XVI non si è recato a Santa Sabina sull’Aventino come vuole la tradizione. Lo ha fatto per non affaticarsi? Per evitare che la cerimonia fuori dal Vaticano fosse presa di mira dai media in un momento così delicato? O per semplici motivi di organizzazione, a quindici giorni dalla fine del suo pontificato? Sono domande spontanee in circostanze come queste, anche conoscendo l’importanza della tradizione nella vita rituale e liturgica del papato. Da tempi molto antichi la chiesa di Santa Anastasia e la basilica di Santa Sabina erano le chiese romane in cui il papa celebrava riti di umiltà, come, appunto, quello del mercoledì delle ceneri. Fino ai tempi moderni, la costruzione della sovranità è stata soprattutto affidata ai riti e ai simboli. Riti e simboli svolgono – per tutte le sovranità laiche ed ecclesiastiche – il ruolo che oggi hanno le carte costituzionali o le leggi fondamentali.
Già in pieno Medioevo, dunque, il papa svolgeva un rito di umiltà il giorno in cui iniziava la Quaresima. Quel giorno, infatti, il papa si recava in processione a piedi nudi, in segno di umiltà e di penitenza, sull’Aventino. Alla fine della messa, un chierico prendeva delle foglie di papiro e lo intingeva nell’olio di una candela; dopo averlo pulito con diligenza, lo portava al palazzo del Laterano, che era allora la residenza ufficiale dei papi. Arrivando al Laterano, il papa doveva allora benedire queste foglie di papiro, le quali venivano conservate fino alla sua morte. Di tutti questi papiri se ne doveva infatti fare un cuscinetto da porre nella tomba sotto il capo del papa defunto.
Le foglie di papiro, destinate ad essicarsi, simboleggiano la vita e la morte di colui che era chiamato a benedirle, ossia il papa. Anche nella Roma antica – lo racconta Pompeo Festo – si usava confezionare cuscini con fasci di verbene da porre sotto «i capi degli dei», ossia degli imperatori (defunti).
E a Bisanzio, il giorno dell’incoronazione si presentava all’imperatore un vaso con delle ceneri di ossa, a prefigurazione della sua inevitabile futura morte. Il rito del papiro intinto nell’olio era forse troppo complicato e forse «imitava» troppo i riti dell’antica Roma. Fatto sta che la curia lo abbandona quando viene istituita la cerimonia del mercoledì delle ceneri (1095). Il papa seduto sul trono riceveva le ceneri dal più anziano dei cardinali vescovi, il quale gli rivolgeva «ad alta voce» le parole di rito destinate a rammentargli l’inevitabilità della morte e la polvere del sepolcro.
Già dal Due e Trecento in poi, però – ed è un fatto singolare –, le parole di rito «Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai» non saranno più pronunciate dal cardinale che imponeva le ceneri sul capo del papa. Il fatto è curioso e riguarda soltanto il papa. Come mai? Come mai proprio per il papa non si devono recitare le parole di rito che rinviano all’inevitabilità della morte e alla necessaria penitenza? La spiegazione è tutto sommato semplice. Come ha chiarito Ernst K. Kantorowicz nel suo celebre libro
I due corpi del re,
la persona fisica del sovrano è destinata a morire, mentre la dignità no. La ‘dignità non muore’, dicevano i giuristi dell’epoca. Il rito delle ceneri doveva quindi servire a ritualizzare questo elemento istituzionale fondamentale e a perpetuarne
la validità.
Ancora in pieno Settecento, il cerimoniale romano lo spiega con assoluta chiarezza: il cardinale deve porre in silenzio le ceneri in forma di Croce sul capo del pontefice «che siede sul trono» perchè «sia visibile a tutti che, benché egli sia posto in una tale dignità grazie alla quale sorpassa di gran lunga la condizione degli altri uomini, egli è nondimeno uomo, fragile, di natura inferma, soggetto alla morte». Insistere sulla caducità e la fragilità della persona del sovrano, in questo caso il papa, serviva anche a ritualizzare il fatto che il suo mandato avrebbe preso fine con la morte. Le dimissioni, come sappiamo, erano rarissime. Si può dire che Ratzinger abbia scavalcato il rito.