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 2013  febbraio 14 Giovedì calendario

IL DITO PUNTATO SUGLI ERRORI DI UN’ERA

Se papa Ratzinger ieri mattina avesse letto i giornali, anziché limitarsi alla rassegna-stampa della Segreteria che più di una volta gli ha fornito versioni edulcorate della realtà, si sarebbe meravigliato nel cogliere un netto cambiamento: all’elogio corale di martedì per la sua umile rinuncia, rotto solo da un’esplicita accusa di viltà da parte del cardinale arcivescovo di Cracovia, ex segretario di Giovanni Paolo II, e da pochissime altre sibilline prese di distanza, si sono succedute molte considerazioni sulla sua fragilità umana.
Troppe per non rendere chiaro che lo sbigottimento iniziale, malgrado il rispetto, le ovazioni di ieri e la nobiltà delle sue parole sulle rivalità e gli scandali nella Chiesa, è presto scivolato nella critica: la premiata sartoria vaticana, bravissima per ammissione dei suoi membri a tagliare i panni addosso a chiunque, foss’anche il pontefice, ha lavorato di gran lena. «Dato che aveva paura di cambiare tre uomini si è dimesso lui» è il filo conduttore di molte conversazioni fatte con un’occhiata allusiva al secondo piano del palazzo apostolico, dove risiede il cardinale segretario di Stato, il criticatissimo Bertone.
E non è un mistero che la proposta di una fiaccolata il 27 febbraio sera, alla vigilia dell’addio, fatta in vicariato ai parroci delle prefetture in cui si divide la diocesi di Roma, abbia incontrato molte perplessità. «Non ci si può dimettere da padre perché i figli non ti ubbidiscono», è stato il brusco commento di un parroco di lungo corso.
A parte l’ovazione che lo ha accolto ieri mattina nella sala Nervi, dov’era andato per la penultima udienza generale, e gli applausi ai riti delle Ceneri, sintomo di solidarietà umana e del diffuso fastidio da parte della base cattolica per gli uomini della Curia "nemici" del Papa, non c’è stato gran dispendio di carità per un uomo che ha perduto dieci chili in sei mesi. «È stanco dentro», commenta un cardinale italiano ultra-ottantenne, che ha servito da capo Congregazione tre papi a partire da Paolo VI. E conclude quasi sussurrando: «Lo aveva detto lui stesso di aver perduto il vigor corporis et animae. Del corpo lo capisco anch’io che ho circa la sua età. Ma dell’anima? Proprio il papa?»
Questo è il centro delle riflessioni. E delle critiche, in gran parte orientate a interpretare la rottura di Ratzinger come una drammatica dichiarazione d’impotenza. Anche se non mancano canonisti che ne lodano la coerenza e il realismo: nella Chiesa, dicono, comanda il Pontefice; se non ne ha la forza, soccorre la collegialità; e si apre il conclave.
Altri interrogativi riguardano i tempi della scelta. Alcuni parlano di riflessioni durate un anno, un vescovo piemontese emerito aveva annunciato il ritiro come imminente già all’inizio dello scorso dicembre, altri sostengono che a precipitare l’addio siano state le recenti difficoltà incontrate da Benedetto XVI nella gestione del caso Mahoney, l’ex arcivescovo di Los Angeles rimosso per aver protetto i preti pedofili e attorno al quale fa muro parte dell’episcopato americano.
Di certo il Papa ha avuto il tempo necessario per garantire chi gli sta vicino, per ruolo o per affetto. Prima ha rincuorato con una serie di attestazioni di stima il cardinale Bertone, sotto attacco per le vicende Ior e Vatileaks, inviso alla fazione "diplomatica" della Curia e a lungo incline a costruirsi un ruolo da vice-papa. Poi ha nominato prefetto della Casa pontificia e arcivescovo il segretario George, garantendogli il futuro.
Infine c’è stata una curiosa infornata di cardinali, che non ha affatto bilanciato in senso extra-europeo le nomine "bertoniane" del passato, ha lasciato senza porpora i titolari di arcidiocesi storiche come Venezia o importantissime come Rio de Janeiro e il prefetto di una congregazione come la Dottrina della Fede, ma ha elevato l’americano Harley, già prefetto della Casa pontificia, proprio quello che gli aveva raccomandato il maggiordomo poi rivelatosi infedele.
Quando si è mosso, Ratzinger lo ha fatto certamente per il bene della Chiesa. Ma è teologo troppo fine ed esperto, oltre che uomo di curia, per non aver capito quanto fosse deflagrante e quanto insidiose potessero rivelarsi le conseguenze della sua decisione: la più grande rivoluzione dal Concilio Vaticano II, si dice, di certo un pericoloso indebolimento della figura papale e della mitologia che la circonda.
Oggi per i grandi prelati la parola d’ordine è sdrammatizzare, cercando di fare apparire normale lo squarciarsi del velo del tempio. Sono molti a spiegare l’abdicazione col carattere del teologo bavarese che, già da cardinale, si era dimesso per le resistenze incontrate nel suo tentativo di processare l’allora arcivescovo di Vienna. Ma al tempo c’era Wojtyla. E non apparivano nemmeno immaginabili i fantasmi alimentati da una realtà nuovissima e inquieta: la sede pre-vacante.