Fabio Isman, Il Messaggero 14/2/2013, 14 febbraio 2013
LA VITA SEGRETA DI CORELLI
Simonetta Ceglie, ricercatrice dell’Archivio di Stato di Roma, apre un faldone di atti notarili e mostra un foglio: «È il testamento che Arcangelo Corelli, musicista tra i maggiori, nato nel 1653 a Fusignano di Romagna ma vissuto pressoché sempre a Roma dove arriva forse a 18 anni, scrive il 5 gennaio 1713: dopo sei giorni di malattia, e tre prima di morire. Lo consegna, chiuso e sigillato, al confessore, don Pier Paolo Sala. Con l’inventario dell’eredità, redatto sei giorni dopo, costituisce testimonianza importante per capire che cosa possedesse nella casa di piazza Barberini, all’angolo con via Sistina: perfino una collezione di 136 dipinti, e parecchi di ottimi autori; cosa ancora dovesse pubblicare; a chi fosse più legato». Eugenio Lo Sardo, che dirige l’Archivio, solleva delicatamente il foglio, lo pone controluce: una fetta di emmenthal, se preferite groviera, ha meno buchi di lui. «L’atto è vergato con un inchiostro ferrogallico, fortemente acido; a base ferrosa, ma con un infuso di galle, escrescenze degli alberi e specie della quercia. È praticamente indelebile, ma assai corrosivo».
Un documento irrimediabilmente perduto? «No: ancora per qualche tempo, è possibile restaurarlo». Ma allora, perché l’Archivio non provvede in fretta? «Perché non abbiamo i quattrini. I fondi ordinari, che ci arrivano dal ministero, sono pochi: non ci permettono questo intervento. Più volte ho provato a inserirlo nei nostri programmi annuali; ma, purtroppo, sempre invano».
LA CAVALCATA
«Per restaurare questa carta, la Cavalcata di Alessandro VIII, il papa Ottoboni cui Corelli era assai legato, e il foglio con l’organo dei Pamphilj, un’altra famiglia servita dal musicista, diciamo diecimila euro. La Cavalcata è una incisione assai bella: descrive il fittissimo corteo che accompagna il pontefice, appena eletto, dal Vaticano a San Giovanni in Laterano; è la cosidetta presa di possesso, il 23 ottobre 1689: ci sono tutti i dignitari, i preti, i musici, la scorta». Ma nessun privato vi soccorrerebbe? «Lo stiamo cercando. Però, la legge non favorisce chi destina risorse al patrimonio pubblico; e le carte di un archivio attirano assai meno, per esempio, del Colosseo, o della Fontana di Trevi. Eppure, noi vorremmo riuscirci: il 2013 è l’anniversario di Giuseppe Verdi e Richard Wagner; ma sono anche trecento anni dalla morte di Corelli. Viene quasi da evocare l’indimenticato Primo Levi: se non ora, quando?».
LASCITI
Corelli, a Roma, lavora per Cristina di Svezia, cui dedica la prima opera, e per la quale dirige un’accademia di 150 «istrumenti ad arco» nel 1687, alla notizia che Giacomo II Stuart era divenuto d’Inghilterra; suona spesso a palazzo Riario in cui lei viveva, che ora è l’Accademia dei Lincei. Poi per il cardinale Benedetto Pamphilj, cui dedica l’opera II, 12 sonate; inaugura teatro Capranica dirigendo l’opera Dove è amore è pietà, di Bernardo Pasquini; è violinista a San Luigi de’ Francesi e, negli ultimi 12 anni, al servizio del cardinale Pietro Ottoboni a palazzo della Cancelleria. Sarà lui a pagare il funerale, a farlo imbalsamare, e seppellire al Pantheon: nell’anniversario, fino a tutto il Settecento, vi si svolgeva un concerto, in cui suonavano suoi brani.
E a «Ottoboni Padrone» lascia «un quadro a sua scelta»; lo prega di «farmi seppellire dove a lui più piacerà». Per secondo, cita Matteo Forneri; è il suo allievo, e forse di più: vivevano assieme, e se sappiamo molto dell’esistenza pubblica di Corelli, della sua parte privata quasi nulla. Anche per questo i suoi documenti finali sono fondamentali. A Forneri «lasio tutti li miei violini e le mie carte, con i rami dell’Opera quartta», da cui quindi, ripubblicandola, egli poteva trarre vantaggi. Gli affida anche un incarico: di pubblicare l’Opera VI, i 12 concerti grossi per cui è ancora celebrato, compreso quello per la Notte di Natale. L’opera V, 12 sonate a tre tra cui la celebre Follia, gli avevano già garantito una fama universale ed imperitura.
DIPINTI
Corelli ricorda anche il cardinale Carlo Colonna cui lascia «un quadro di Brugolo», Brueghel: lo vedremo; la sorella e «Pippo, mio servitore», cui vanno due vitalizi; gli esecutori «pensino al mio funerale e a farmi celebrare messe cinque cento». Eredi universali i quattro fratelli.
Il «Brugolo» è solo uno dei 136 dipinti che il musicista, assai parsimonioso secondo l’esperto e quasi coevo Charles Burney, aveva accumulato. Ne conosciamo gli autori, ma non i soggetti: tra gli altri, Gaspar Van Wittel, Francesco Trevisani (che ritrae il cardinal Ottoboni e anche Corelli: ne possedeva 22 suoi), Scarsellino, Sassoferrato, Giovanni Lanfranco, Solimena, Borgognone, Carlo Cignani, Mola, Carlo Lotti, il Baciccio, Carlo Maratta. Aveva molti strumenti e tanta musica, vari argenti. Uno squarcio interessante della vita, che ancora non conosciamo, d’un musicista citato come esempio di bellezza perfino dal cantautore Franco Battiato, in una raccolta del 2009; sempre che qualcuno lo voglia restaurare. Se no, andrà perduto per sempre: peccato, vero?
Fabio Isman