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 2013  febbraio 14 Giovedì calendario

ECCE HOMO

[Il dossier dei cardinali sul caso Vatileaks è stato l’ultimo scossone che ha convinto Benedetto XVI a dimettersi. Ma Papa Ratzinger non scende dalla croce.
Indica una direzione di marcia] –
E’ il 17 dicembre 2012. Il Papa ha appena ricevuto il presidente palestinese Abu Mazen. Fuori della biblioteca attende una delegazione del Comitato olimpico italiano. Nel frattempo, da un altro ingresso, entrano tre cardinali: Julian Herranz, Jozef Tomko e Salvatore De Giorgi. Sono i membri della commissione cardinalizia d’inchiesta su Vatileaks, nominata personalmente da Benedetto XVI. Portano la seconda parte del rapporto sulle indagini che hanno svolto in questi mesi dopo il primo iniziale resoconto, consegnato al Pontefice in agosto. Stavolta il fascicolo è assai più voluminoso, contiene decine di interviste a prelati, laici, religiosi che i tre porporati hanno compiuto dopo la condanna del corvo, Paolo Gabriele. Da questo rapporto, come è stato riferito a Panorama, emerge una fotografia impietosa dell’attuale situazione della curia romana: le divisioni tra i cardinali, le resistenze al cambiamento e all’operazione di trasparenza e pulizia voluta da Joseph Ratzinger. I porporati incaricati dell’indagine non hanno lesinato domande ai testimoni, che hanno convocato con grande riserbo. Le denunce reciproche, gli attacchi, gli episodi rimasti coperti per anni e mai svelati sono una scioccante e drammatica rivelazione per il Pontefice. Ratzinger esce duramente provato dal colloquio con la commissione d’inchiesta. Trova la forza di parlarne solo con il fratello Georg. Si confida ammettendo, forse, di avere scoperto un volto della curia vaticana che non aveva mai immaginato.
Si rende conto di non aver più la forza e l’energia sufficienti per compiere quel lavoro di pulizia e di rinnovamento che ormai si rivela urgente e non più dilazionabile. In quei giorni, poco prima di Natale, Benedetto XVI si convince che è giunto il momento di prendere la decisione che stava già valutando da mesi: ricorrere all’articolo 332, secondo comma, del Codice di diritto canonico, che consente al Papa di dimettersi. Seguirà, nei giorni successivi, l’incontro con il maggiordomo infedele Gabriele e la concessione della grazia. Quindi la promozione ad arcivescovo del suo segretario, Georg Gaenswein, che così viene messo al sicuro dalle vendette e dai regolamenti di conti di curia.
Ignara di tutto, la Cei, guidata dal cardinale Angelo Bagnasco, si aspetta invece che sia «dimissionato» il segretario di Stato, Tarcisio Bertone. Benedetto XVI fa finta di nulla. Dall’appartamento papale giunge al governatorato la richiesta di ristrutturare la vecchia casa del custode dei giardini vaticani, già trasformata in monastero di clausura, per farne un appartamento. Non si sa per chi. Molti pensano che sia per Bertone. Invece è per il suo superiore.
Ma cosa c’è di tanto sconvolgente nel rapporto redatto dai tre cardinali per il Papa? I porporati fanno anzitutto l’elenco delle interviste compiute dal mese di settembre fino alla fine di novembre: la lista contiene molti nomi, non solo ecclesiastici, comprese figure insospettabili. Quindi analizzano la rete di rapporti e di amicizie che si è strutturata intorno al Palazzo apostolico e all’appartamento del Papa. Emerge una diffusa resistenza al cambiamento e molti ostacoli alle azioni volte a promuovere la trasparenza.
I porporati portano alla luce anche casi concreti, episodi che il Papa scopre solo adesso, altri che già conosceva ma scorge in una nuova luce. L’orizzonte è più ampio di quello di Vatileaks, le questioni sono più complesse, alcune affondano le radici persino nel pontificato di Giovanni Paolo II.
Pur essendo stato un uomo sempre molto solitario, Benedetto XVI ha gli occhi abituati a guardare la curia: dagli accenni, da qualche sottolineatura e qualche rivelazione della commissione d’inchiesta, Ratzinger non fa fatica a scorgere gruppi di pressione, cordate. Legge attentamente il primo e il secondo rapporto. Prega, riflette: alla fine giunge alla decisione di compiere il gesto che a tutti sembrava inverosimile ma che lui, invece, non ha mai escluso.
Non è solo il dossier dei cardinali ad averlo spinto a questa decisione clamorosa. Ma è come se quel rapporto gli avesse dato la conferma di quello che era il gesto migliore da compiere per il bene della Chiesa. Dal 1° marzo, per di più, tutte le cariche dei capi dicastero della curia romana saranno azzerate. Il successore potrà nominare chi vorrà. E c’è da chiedersi se al nuovo Papa sarà concesso di leggere i dossier della commissione d’inchiesta cardinalizia.
Non una fuga, dunque, da parte di Ratzinger, ma quasi una conseguenza del lavoro intrapreso negli otto anni di pontificato: una lotta coraggiosa e senza risparmio contro la «sporcizia della Chiesa» che contamina una parte della curia e che aveva denunciato nella Via Crucis precedente la sua elezione. Una battaglia che ha incontrato molti ostacoli, anche inattesi. Un autentico calvario. Ora il Papa sente di non avere più energie e rassegna le dimissioni per affidare a qualcun altro con più vigore questo compito urgente.
Ne parla prima con monsignore Gaenswein, poi con Bertone, quindi con il cardinale Angelo Sodano. La notizia circola già prima del concistoro dei cardinali dell’11 febbraio tra i collaboratori più stretti, ma non trapela nulla all’esterno. Segno che, quando vuole, il Palazzo apostolico sa ancora custodire i suoi segreti in modo impenetrabile. Il Papa non scende dalla croce, piuttosto indica una direzione di marcia. Resta nel cassetto, incompiuta, la sua ultima enciclica, la più attesa, quella sulla fede (dopo le lettere sulla carità e sulla speranza). Ma in realtà la sua ultima enciclica sono le dimissioni: il testamento spirituale affidato ai pastori e ai fedeli affinché si impegnino a ripulire e rinnovare la barca di Pietro. E c’è molta attesa per le parole che il Papa pronuncerà nei prossimi giorni nei diversi appuntamenti pubblici previsti (dalla cerimonia delle Ceneri agli Angelus domenicali). In particolare nella straordinaria udienza di commiato, mercoledì 27 febbraio in piazza San Pietro, quando, per l’ultima volta, saluterà i fedeli da Papa.
Il Santo padre resterà in Vaticano come vescovo emerito di Roma. E tutti già si domandano con quale appellativo dovranno chiamare «l’ex Papa». Ma la sua presenza è un monito per coloro che dovranno scegliere il suo successore e per i futuri assetti della Chiesa.
Si preannuncia un conclave difficile senza alcuna personalità in grado, per ora, di emergere e catalizzare immediatamente il consenso di tutti i porporati. E, come se non bastasse, in Vaticano circolano ancora molti dossier e molti veleni che puntano a inquinare le scelte del collegio cardinalizio. Vere o false che siano queste carte, avranno il loro peso nelle decisioni.
Emerge già il dualismo tra i due uomini forti della curia: l’ex segretario di Stato, Sodano, che è il decano del collegio cardinalizio, e l’attuale segretario di Stato, Bertone, che è anche camerlengo di Santa Romana Chiesa, chiamato ad amministrare la sede vacante fino all’elezione del nuovo Pontefice. Entrambi piemontesi, sono i due punti di riferimento per i 209 porporati che compongono il collegio cardinalizio. Sodano ha 85 anni e perciò non entrerà in conclave, Bertone invece ne ha 78 e si chiuderà nella Cappella Sistina con gli altri 116 elettori.
Sodano è alla guida della «vecchia guardia» wojtyliana che vuole risorgere. Bertone invece è stato l’uomo forte del pontificato di Ratzinger e punterà a garantirne la continuità. Le norme del conclave, che sono previste dalla costituzione apostolica Universi Dominici gregis, assegnano a entrambi ruoli chiave: sarà infatti Sodano a celebrare la «missa pro eligendo romano pontifice» che aprirà formalmente le procedure per il conclave. Fu in quella celebrazione che nel 2005 prese quota la candidatura di Ratzinger, allora decano del collegio cardinalizio, grazie a un’omelia rimasta storica. Anche Sodano offrirà indicazioni molto precise per il prossimo conclave pur non essendo, di fatto, tra i papabili. Spetta inoltre al cardinale decano presiedere le congregazioni generali, cioè le riunioni di tutti i cardinali che fungono da consultazioni in vista del conclave. Sono molto importanti perché servono a definire l’identikit del Papa da eleggere e a far emergere le candidature.
Al camerlengo Bertone spetta però il compito di fissare le date delle congregazioni generali. Inoltre il medesimo porporato presiede le congregazioni particolari composte da soli quattro cardinali per il disbrigo degli affari correnti. Ma soprattutto Bertone entrerà in conclave, mentre Sodano rimarrà fuori, potendo contare però sulla presenza di altri influenti elettori come Leonardo Sandri, Ferdinando Filoni e l’ex segretario di Wojtyla, Stanislaw Dziwisz.
Pesano comunque le assenze: nel corso dell’ultimo anno il Papa ha tenuto due concistori per la creazione di 28 nuovi cardinali, dei quali 24 elettori. Ma alcuni ecclesiastici sono rimasti sorprendentemente fuori dal collegio e non parteciperanno al conclave: se è vero che il Papa pensava già da tempo alle sue dimissioni, questa scelta forse non è casuale. Fra i grandi esclusi ci sono il patriarca di Venezia, Francesco Moraglia, il prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, altri capi dicastero e arcivescovi residenziali. Comunque finirà il conclave, il Pontefice tradizionalista e conservatore con questo colpo di scena ha compiuto uno dei gesti più rivoluzionari della storia della Chiesa e ha portato a compimento il Concilio Vaticano II. In particolare per quell’aspetto del concilio che sta particolarmente a cuore a Ratzinger: la collegialità episcopale.
Il Papa non è il sovrano assoluto, ma esercita il suo potere collegialmente, insieme con i vescovi di tutto il mondo, secondo le indicazioni della costituzione conciliare Lumen gentium. Per questo il vicario di Cristo può persino chiedere perdono per i propri difetti, come ha fatto Ratzinger annunciando le sue dimissioni, e può fare un passo indietro quando non si sente più all’altezza. Alla «papolatria» che ha caratterizzato il pontificato carismatico di Giovanni Paolo II segue, con Ratzinger, una nuova concezione del pontificato in chiave più collegiale e forse, per questo, maggiormente al passo con i tempi.
Tuttavia, Benedetto XVI ha messo una seria ipoteca anche sul futuro, perché d’ora in poi ogni romano pontefice dovrà misurarsi con l’eventualità delle dimissioni; ogni successore di Pietro sarà messo sotto esame per verificare se sarà all’altezza del proprio compito. È stata questa prospettiva che, nel corso dei secoli, ha sempre frenato i predecessori di Ratzinger dal prendere una decisione del genere. Ma i tempi ormai sono cambiati e il primo conclave al tempo di Twitter si prepara a ridisegnare il volto della Chiesa.