Gian Luca Pasini, SportWeek 9/2/2013, 9 febbraio 2013
DI OCEANI E DI ALTRE STORIE
[Giovanni Soldini] –
All’inizio la meta era Valparaiso, uno dei porti più importanti del Cile, dove le navi andavano a caricare il prezioso rame per un mondo che stava industrializzandosi. Poi cominciò la corsa all’oro in California e i clipper dettavano la rotta fra New York e San Francisco, più di 13 mila miglia (oltre 24 mila chilometri), sfidando, più o meno a metà strada, il mitico Capo Horn. Giovanni Soldini e il suo equipaggio, salpati il 31 dicembre sul 70 piedi "Maserati", hanno raggiunto il Capo in un tempo record di 21 giorni, 23 ore e 14 minuti nel tentativo di stabilire il nuovo primato sull’antica rotta dei velieri, navi in legno velocissime (per l’epoca) che sfidavano il passaggio più a sud del mondo, prima di risalire lungo la costa cilena, con le Ande come costante compagno di viaggio sulla destra. Proprio la più importante catena montuosa del Sud America ha molto a che fare con le condizioni che si trovano a Capo Horn, 56 gradi di latitudine sud (se non avete una cartina geografica davanti agli occhi, vi basti pensare che il punto più meridionale dell’Africa, Capo di Buona Speranza, è circa a 35 gradi sud).
A latitudini così basse, i venti, nella maggior parte dei casi piuttosto forti, che soffiano quasi sempre da ovest verso est, corrono (o volano, meglio?) liberi per migliaia di chilometri: le Ande li incanalano, con un effetto a imbuto. Un altissimo muro di roccia che li convoglia rabbiosi verso sud, dove le onde che arrivano dall’oceano si trovano un gradino naturale mostruoso. La profondità del mare passa molto rapidamente da 4 mila metri a sole poche centinaia, con un effetto non difficile da immaginare per i marosi. Ci sono periodi dell’anno dove ai velisti che osano sfidare queste acque sono riservati condomini d’acqua gelata sulla faccia, visto che le onde possono essere alte anche 30 metri e i venti superare i cento chilometri all’ora, con fortissime e pericolose correnti marine che ostacolano la marcia.
"Gitana 13", il grande catamarano di oltre 30 metri che detiene il primato assoluto sulla rotta New York-San Francisco, ci mise cinque giorni a doppiare Capo Horn, quando nel 2008 stabilì il record (43 giorni). Nei secoli passati poteva andare anche molto peggio: le navi a vela magari erano costrette a restare in questi mari un mese prima di riuscire a passare sotto l’imponente sperone di roccia. Con un’acqua non lontana dagli zero gradi per buona parte dell’anno, che qui prevede 278 giorni di pioggia (o neve) su 365. Attese snervanti, affrontate in condizioni precarie e con un abbigliamento ridicolo rispetto alle cerate e agli indumenti idrorepellenti che sono utilizzati dai nove uomini di "Maserati" per questa impresa su una rotta un po’ vintage, poi "rottamata" dall’apertura del Canale di Panama. Dopo settimane di gelo, gli equipaggi, stremati, si arrendevano a Capo Horn. E invertivano la rotta, preferendo migliaia di miglia oceaniche da percorrere verso est piuttosto che affrontarne poche verso ovest, ma dove avrebbero dovuto sfidare quello sperone avvolto molto spesso dalle nebbie e quindi invisibile al passaggio per i coraggiosi marinai che si avventurano in queste acque.
UN CAPO MITICO
Non solo iperboli della letteratura e dei giornali: hanno raccontato Capo Horn Charles Darwin, Coloane, Sepulveda, fino a Bernard Moitessier, un velista francese prestato alla letteratura (o viceversa) che, superatelo nell’altro verso (arrivava da ovest) e praticamente certo della vittoria, nel primo giro del mondo in solitario, decise che preferiva il mare alle regate. Si ritirò dalla competizione e, dopo un altro giro "sotto" il mondo, si fermò a Tahiti. Capo Horn era un posto talmente mitico che nacquero confraternite della marineria che avevano lo scopo di censire chi riusciva a circumnavigarlo. A St.-Malo, in Francia, per citare un esempio, nel 1937 venne fondata l’Associazione Internazionale di Capo Horn, che conferiva un diploma a seconda del ruolo ricoperto a bordo e consegnava un certificato di prima classe al capitano. Un registro annotava i passaggi e ai marinai veniva assegnato un soprannome dopo l’impresa: da Albatro, fino a Mollywack (l’albatro cauto), per arrivare al Piccione del Capo, riservato al marinaio per il quale non era previsto il pezzo di carta che certificasse la mitologica circumnavigazione.
LA TERZA VOLTA DI SOLDINI
Prima di questa avventura su "Maserati". Soldini era già passato due volte per Capo Horn: «Il debutto fu durante il mio primo giro del mondo. Avevo 27 anni e il cuore in gola per essere riuscito ad arrivare al traguardo più ambito dai marinai. La seconda volta avevo 33 anni e passai il Capo durante la mia seconda regata intorno al mondo in solitario in compagnia di Isabelle Autissier, che avevo appena trovato in mezzo al Pacifico del sud. E oggi la terza è diversa dalle altre, ma non meno intensa. È stato straordinario condividere le emozioni con altre persone e impagabile vedere la felicità, l’entusiasmo e la soddisfazione negli occhi dei miei compagni di avventura. L’energia di tutti loro, la voglia di festeggiare, i sorrisi mi hanno stupito e .sorpreso. È stato un momento quasi magico in cui ci siamo sentiti vicini come non mai».
EMOZIONI CONTROMANO
E Capo Horn ha lasciato il segno anche sui compagni di Soldini (leggetevi qui sotto e nelle due pagine precedenti le parole che i membri dell’equipaggio ci hanno spedito da bordo). Guido Broggi aggiunge: «Aver l’occasione di doppiare Capo Horn contromano (i venti arrivano, appunto, dalla direzione opposta a quella che aveva "Maserati", ndr) sulla stessa rotta delle antiche navi aggiunge qualcosa in più, come un passaggio di testimone tra marinai di epoche diverse sotto lo sguardo del Capo. Non solo un mero giro di boa, ma in un certo modo un passo in più verso la conoscenza di se stessi». Sébastien Audigane invece racconta: «Il "Corno" è spesso così in una giornata limpida. All’avvicinarsi della costa si vede improvvisamente un paesaggio stupendo, una catena montuosa mostruosa che si getta nell’oceano. Poche decine di chilometri più tardi, si scopre una costa magnifica tagliata e cosparsa di isole con ripide scogliere e abitate da migliaia di uccelli marini. Dalla costa, la catena montuosa delle Ande divide il cielo con i suoi ghiacciai e le cime innevate. Il paesaggio è senza esagerazioni grandioso, arriva come un mostro che esce da una scatola».
VERSO SAN FRANCISCO
Il nome "Horn" arriva da mari lontanissimi, dall’Olanda e venne scelto in onore della città di Willem Schouten, uno dei due comandanti della spedizione che scoprì il Capo il 26 gennaio 1616. Ora è un ricordo nella mente degli uomini di Soldini, che hanno in testa una cosa soltanto: arrivare in California, sotto il Golden Gate. Sighel, il media man a bordo di "Maserati", dopo il passaggio del Capo ci ha scritto: «Questo luogo riecheggia nella mia mente da sempre, attraverso racconti, romanzi, storie di naviganti e immagini di regate estreme e avventurose. E mi ha attirato a sé. Ma il tempo corre e corrono le nubi spinte dal vento, quindi uno sguardo e via, prima che si scateni un inferno. Continuiamo la nostra cavalcata poco turistica per questa rotta poco retta che unisce NY a San Francisco. Mentalmente dobbiamo rimanere ancora concentrati sul motivo che ci ha portati qua dopo mesi di preparazione». Una preparazione lunghissima per battere il record (dei monoscafi) stabilito nel 1998 da "Aquitaine Innovations", arrivato dopo 57 giorni, 3 ore e 2 minuti. Ma finora "Maserati" ha fatto molto di più, arrivando a sognare il tempo stabilito dal catamarano "Gitana" (barca di un’altra categoria e quindi non confrontabile): poco più di 43 giorni di mare, primato assoluto. Un’impresa all’apparenza incredibile, come sembravano impossibili i viaggi dei clipper, velocissimi a unire New York a San Francisco nell’Ottocento.